lunedì 16 luglio 2012

Maracanaço

Io non c'ho mai provato. Ma nel caso voi andaste in Brasile, evitate di dire la parola "Maracanaço".
Ora voi direte: perché? E avete anche ragione. Ma non è una cosa che si spiega in poche parole. È una cosa che va' al di là del calcio, per sfociare in un clima sociale di un paese che vuole risollevarsi grazie al calcio. Parlo del Brasile, ovviamente. E parlo del Mondiale del 1950. Svolto proprio in Brasile.
Bene, era un formato diverso da quello di adesso. Ci furono quattro gironi (due da quattro, uno da tre e uno da due squadre), le prime accedevano all'ultimo girone, in cui tutti dovevano sfidare tutti.
Arriviamo all'ultima partita, Brasile-Uruguay. Brasile a 4 punti, Uruguay a 3. Era come una sorta di finale. Soltanto che il Brasile aveva due risultati su tre.
Ecco, da qui, la partita diventa leggenda.
Brasile. Uruguay. Stadio Mario Filho. Non vi dirà niente il nome, perché gli è stato dato nel 1964. Fino ad allora, si chiamava con un altro nome, che è quello che tutti conosciamo: Maracanà.
La FIFA dice che ci fossero 173850 persone. I testimoni dicono che superassero come minimo i 190000, si arrivava a 200000. 200000 persone dentro a uno stadio, con una sola speranza, un solo desiderio: diventare Campioni.



E le cose si misero bene per il Brasile. Al 47' Friaça segnava l'1a0. Adesso all'Uruguay servivano due gol per diventare Campione.
Facciamo un passo indietro adesso. Quando si gioca una finale, non hai la certezza di vincere. Sì, qui il Brasile partiva con un 66-33, anziché 50-50, ma non aveva comunque la certezza di aver vinto. Nessuna squadra l'avrebbe avuta questa certezza. Tranne il Brasile nel Mondiale di casa. Vi dico 500000. È il numero di magliette con scritto "Brasil campeão 1950", già il giorno prima. Il giorno della finale fu improvvisato un carnevale e i titoli dei quotidiani davano già il Brasile Campione.
Prima del fischio di inizio, il generale de Morais disse, davanti a tutti: "Voi, brasiliani, che io considero vincitori del Campionato del Mondo. Voi, giocatori, che tra poche ore sarete acclamati da milioni di compatrioti. Voi, che avete rivali in tutto l'emisfero. Voi che superate qualsiasi rivale. Siete voi che io saluto come vincitori!"
Fuori dallo stadio c'erano cartelloni che omaggiavano i "Campioni del Mondo".
Pensate a quanto i brasiliani tenessero a questa Coppa. Era tutto per loro.
Bene, torniamo all'1a0. Servivano due gol all'Uruguay. Come avrebbe potuto vincere? A maggior ragione, dopo quello che vi ho scritto. In un'atmosfera vietata ai deboli di cuore.
Poi, successe l'impensabile. Minuto 66: Schiaffino fa l'1a1. Ma non è importante, il Brasile è sempre avanti nella classifica. Non fa niente, tra 24' saremo Campioni. Era questo che pensavano i brasiliani.
Poi dovettero risvegliarsi. Perché Ghiggia, uno dei più forti attaccanti dell'epoca, aveva fatto pure il 2a1. Ed era già il 79'. Mancavano solo 11'. E passarono inesorabilmente. L'arbitro fischiò la fine. Era finita.



L'Uruguay andava a 5 punti e il Brasile rimaneva a 4. La Celeste era Campione del Mondo per la seconda volta nella sua storia.
Già di per sé questo è un dramma. Ma quello che è successo dopo, lo renderà ancora più triste.
Si contano tra i 6 e i 10 morti di infarto allo stadio dovuto allo shock per la sconfitta dei loro beniamini.
Alcuni si suicidarono dopo. Magari perché avevano investito tutti i risparmi di una vita in quella partita.
Jules Rimet, il presidente della FIFA, si trovò nell'imbarazzo più totale a dover consegnare la Coppa alla Nazionale vincente, che non era il Brasile.
Era uno stadio in lacrime.
Pure quelli dell'Uruguay erano increduli difronte a tanta tristezza. Rimet consegnò la Coppa al capitano della Celeste, gli strinse la mano e se ne andò. Un po' come quando consegnate le verifiche ai prof.
In tanto tutto il Brasile cadeva nello sconforto più totale. Si parla di 34 suicidi e 56 infarti. Il governo proclamò tre giorni di lutto.
Ma ci pensate? Immaginate quanto e cosa volesse dire per un'intera nazione quella Coppa.
Rimet disse che "Era tutto previsto, tranne la vittoria dell'Uruguay".
I giornali cambiarono drasticamente le loro prime pagine. Da "Campioni" a "La nostra Hiroshima" e "La tragedia più grande".
Le due righe che scrisse Josè Lins do Rego, meritano di essere ricordate: "Ho visto un popolo a testa bassa, con le lacrime agli occhi, senza parole, lasciare lo stadio come se tornasse dal funerale di un amatissimo padre. Ho visto un popolo sconfitto, e più che sconfitto, senza speranza. Questo mi ha fatto male al cuore. Tutte le emozioni dei minuti iniziali della partita si sono ridotte a cenere di un fuoco spento."
"Eravamo felici, ma anche molto imbarazzati. Non avevamo mai visto, e credevamo che non avremmo mai più visto, un intero popolo soffrire così tanto e in quel modo. Si udivano i loro pianti. Insomma, fu un’atmosfera da film. Da film del terrore". Così Schiaffino ricorda il suo Mondiale. Come un film del terrore.
L'Uruguay tornò subito a casa. Ma ciò non impedì ai brasiliani di aggredire Ghiggia e di farlo tornare con le stampelle. Quasi a dire "Non farti più vedere".
A maggior ragione dopo che disse "A sole tre persone è bastato un gesto per far tacere il Maracanã: Frank Sinatra, il Papa e io".
Ghiggia ritornerà al Maracanà, per mettere le impronte dei suoi piedi nella Walk of Fame dei calciatori che hanno scritto la storia di questo stadio. Anche se Ghiggia, a dire la verità, cambiò la storia di un intero paese.
Come se tutto ciò non bastasse, i brasiliani ebbero pure il coraggio di trovare un capro espiatorio. E non ci vuole molto a capire su chi caddero le colpe. Pensateci: quando si subisce gol, di chi è la colpa?
Esatto. E chi era il portiere di quella Nazionale? Un certo Moacir Barbosa Nascimento. Era una persona di carnagione scura, molto scura. Bene, il Brasile "decise" di non avere mai più portieri neri. Ed eccetto la parentesi Dida, non li  ebbe per davvero.
"Guarda quest'uomo, è lui che tanti anni fa ha fatto piangere tutto il Brasile". Questo disse una donna al suo bambino, riferendosi a Barbosa.



Adesso è morto, nel 2000, ma lui stesso disse che "La pena più lunga per un reato in Brasile è 30 anni, io è da 43 che pago le conseguenze, di qualcosa che non ho mai fatto".
La Federcalcio Brasiliana cambiò pure il colore della divisa. Fino ad allora era bianca con colletto blu.
Cambiò e diventò quella che tutti conosciamo e che ha reso grande il Brasile: quella verde-oro.



Vi ho detto praticamente tutto. Tranne la data di quella partita. Era il 16 luglio 1950. Lo stadio era il Maracanà di Rio de Janeiro e si consumò il più grande disastro della storia calcistica e forse anche di quella sportiva in generale.
Io non c'ho provato. Ma fossi in voi, non ci proverei proprio a dire "Maracanaço", perché lì in Brasile sono ancora in lutto.



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