sabato 14 dicembre 2013

Fate correre quella maledetta palla!



"Fate correre quella palla! Fate correre quella maledetta palla!", diceva Arpad Weisz, straordinario allenatore ungherese degli anni '30. 
Oggi, comunque, non voglio parlare della triste vita di questo grande manager, voglio semplicemente soffermarmi su quelle cinque parole, quelle cinque pesantissime parole. No, non c'entra niente neanche la tattica. Il mio punto è un altro: siamo sicuri che questa palla, questa maledetta palla, venga fatta ancora correre su un campo? Siamo sicuri che non la si faccia correre su altri binari?
Sapete, ultimamente il calcio mi sta annoiando, e lo dico seriamente. Penso che stia diventando un qualcosa di invivibile, almeno per me che vivo di calcio. Martedì sera, durante la partita tra Galatasaray e Juventus, ho visto uno sport ridotto allo stremo, comandato tramite dei fili da burattinai che dovrebbero stare fuori da queste faccende. Martedì sera, quando la Turk Telekom Arena di Istambul veniva ricoperta di neve, quando si iniziava a parlare di un possibile rinvio, ho seriamente capito che ormai il binario che quella palla seguiva non era un più un campo da calcio, ma era un binario fatto di diritti televisivi, sponsor e altre storie inventate da uomini in giacca e cravatta. La realtà è che il calcio non è questo. Il calcio non è una partita rinviata per un po' di neve. Quella partita sarebbe dovuta continuare, non doveva essere sospesa. Quella partita non doveva essere giocata il giorno dopo ad un orario improponibile. Quella partita, e tutto quello che ne è seguito sui media e sui social network, mi ha fatto capire che questo calcio non mi appartiene. Questo non è calcio, questo è solo uno sporco business contornato da gente ignorante. Ahimè, ho a che fare con la gente ignorante ogni giorno. E giorno dopo giorno, inizio davvero a pensare se qualcuno è ancora in grado di parlare di calcio.
Quello che ho scritto sono cose ripetitive, lo so. Le avrò già dette, lo so. Ma io sono davvero rimasto senza parole quando ho visto quella partita rinviata. In fondo, io, voglio semplicemente veder correre quella maledetta palla. Non importa che sia su un campo perfetto o in un campo dell'Africa centrale; a me interessa vedere una partita di calcio, con 22 giocatori in campo che danno il massimo per la loro squadra e che si ritengono fortunati ad aver realizzato il loro sogno.
L'immagine sopra è di una partita tra Arsenal e Manchester United del 1926, finita 3-2, che è stata giocata comunque nonostante la neve. Era il 1926 e il caro Arpad terminava la sua carriera da calciatore, per iniziare quella da allenatore e sono sicuro che una delle prime cose disse fu: fate correre quella palla! La sua Inter e il suo Bologna fecero correre quella palla; il resto è storia. Perché dobbiamo rovinare tutto?


venerdì 29 novembre 2013

Capocannonieri della Coppa Campioni (1964-1969)

Vladica Kovačević: 7 gol nel 1963/64 con la maglia del Partizan Belgrado. Nel primo turno segna due gol all'Anothosis all'andata e uno al ritorno. Agli ottavi ne segna quattro in casa contro il Jeunesse Esch. Nei quarti viene eliminato dall'Inter futuro campione.












Sandro Mazzola: 7 gol nel 1963/64 con la maglia dell'Inter. Agli ottavi segna due gol in casa del Monaco. Ai quarti ne segna un altro in casa del Partizan. In semifinale segna sia in casa che fuori contro il Borussia Dortmund. Nella finale contro il Real Madrid è il vero eroe, siglando la doppietta decisiva nel 3.1 finale e permettendo all'Inter di diventare campione d'Europa.











Ferenc Puskas: 7 gol nel 1963/64 con la maglia del Real Madrid. Nel primo turno segna un gol in casa dei Rangers, siglando una tripletta al ritorno. Segna ancora agli ottavi in casa contro la Dinamo Bucarest. Nei quarti contro il Milan segna nuovamente in casa. Ancora in gol in Spagna contro lo Zurigo. In finale perde contro l'Inter.












José Augusto Torres: 9 gol nel 1964/65 con la maglia del Benfica. Nel primo turno ne segna quattro in casa dell'Aris, andando in gol anche al ritorno. Negli ottavi segna un gol in casa del Chaux-de-Fonds, segnando anche al ritorno. In semifinale fa una doppietta in casa al Vasas. Perde in finale contro l'Inter.










Eusébio: 9 gol nel 1964/65 con la maglia del Benfica. Nel primo turno segna in casa dell'Aris, siglando una doppietta al ritorno. Negli ottavi segna in casa con il Chaux-de-Fonds. Nei quarti segna una doppietta in casa con il Real Madrid, timbrando il cartellino anche al ritorno. In semifinale fa una doppietta in casa al Vasas. Perde in finale contro l'Inter.

Eusébio: 7 gol nel 1965/66 con la maglia del Benfica. Nel primo turno ne segna quattro in casa contro lo Stade Dudelange. Agli ottavi sigla una doppietta in casa del Levski Sofia, andando a segno anche al ritorno. Ai quarti si arrende al Manchester United.





Florian Albert: 7 gol nel 1965/66 con la maglia del Ferencváros. Segna un gol in casa del Keflavik al primo turno, mentre al ritorno ne segna addirittura cinque. Agli ottavi segna in casa del Panathinaikos. Ai quarti viene eliminato dall'Inter.










Paul van Himst: 6 gol nel 1966/67 con la maglia dell'Anderlecht. Segna solo nel primo turno: prima cinque in casa dell'Haka e poi uno al ritorno. Agli ottavi viene eliminato dal Dukla Praga.













Eusébio: 6 gol nel 1967/68 con la maglia del Benfica. Nel primo turno segna un gol importantissimo in casa del Glentoran. Agli ottavi segna contro il Saint-Ètienne in casa. Ai quarti mette a segno una doppietta in casa contro il Vasas. In semifinale ne segna uno in casa e uno fuori contro la Juventus. In finale si arrende al Manchester United.










Denis Law: 9 gol nel 1968/69 con la maglia del Manchester United. Nel primo turno segna una tripletta all'andata e una quaterna al ritorno contro il Waterford United. Agli ottavi mette a segno una doppietta in casa contro l'Anderlecht. In semifinale viene eliminato dal Milan futuro campione.









Riassunto delle edizioni: Nel 1964 e nel 1965, l'Inter continua il ciclo italiano avviato dal Milan la stagione precedente. Grazie a giocatori come Mazzola, Corso, Jair, la squadra di Herrera porta a casa due volte la Coppa, facendo fuori squadre come Real Madrid e Benfica. Nel 1966 è proprio il Real a tornare campione, non sapendo che avrebbe dovuto poi attendere altri 32 anni per tornare campione. Nel 1967 e nel 1968 sono due britanniche a spezzare questo dominio mediterraneo: prima ci pensa il Celtic con una squadra composta da giocatori provenienti dalle zone limitrofe a Glasgow e con in panchina Jock Stein, poi è il turno del Manchester United, che grazie a Best, Law e Charlton, guidati dal mitico Sir Matt Busby, spazza via il Benfica. Sei anni dopo il primo trionfo, è ancora il Milan ad aggiudicarsi la coppa nel 1969, raggiungendo l'Inter a quota a due. Protagonista assoluto Pierino Prati, che segna l'ultima tripletta in finale a tutt'oggi. Quell'anno viene strapazzato l'Ajax, ma nel giro di qualche mese le cose sarebbero cambiate.

Squadra simbolo: Inter; tra il 1963 e il 1965 la squadra di Herrera è stata senza dubbio la migliore d'Europa, potendo contare su giocatori come Mazzola, Suarez, Jair, Corso. Grazie alle ottime strategie del tecnico argentino, l'Inter vinse due Coppa Campioni consecutive, scrivendo il suo nome nel libro della storia.

Giocatore simbolo: George Best; non me ne voglia Eusébio (forte di due finali perse e di tre titoli di capocannoniere), ma gli anni '60 sono stati quelli della rivoluzione e chi meglio del Quinto Beatle può essere il simbolo di quella generazione? Venuto fuori a soli 17 anni nel 1963, pian piano si dimostra un giocatore fantastico. La consacrazione arriva proprio contro in casa del Benfica di Eusebio: una doppietta di Best aiuta lo United a sbancare il da Luz, dove i lusitani non avevano mai perso, 5-1. Due anni più tardi arriva la conferma definitiva. Ancora il Benfica sulla sua strada, ma stavolta si gioca la finale. A Wembley sigla il 2-1. Charlton e Kidd fanno il resto. United campione, Best Pallone d'oro a fine anno. Continuerà su questi livelli ancora per un annetto, poi si perderà e delle sue notti europee resterà solo un triste ricordo.

Albo d'oro: 
1963/64: Inter-Real Madrid 3-1 (Mazzola 43' e 76', Milani 62'; Felo '69); 27 maggio 1964 Praterstadion, Vienna;

1964/65: Inter-Benfica 1-0 (Jair 42'); 27 maggio 1965 San Siro, Milano

1965/66: Real Madrid-Partizan Belgrado 2-1 (Amancio 70', Serena 76'; Vasovic 55'); 11 maggio 1996 Heysel, Brussels 

1966/67: Celtic-Inter 2-1 (Gemmell 63', Chalmers 84'; Mazzola 7' rig); 25 maggio 1967 Stadio Nazionale di Jamor, Lisbona

1967/68: Manchester United-Benfica 4-1 (Charlton 55' e 100', Best 97', Kidd 98'; Graça 80'); 29 maggio 1968 Wembley, Londra

1968/69: Milan-Ajax 4-1 (Prati 7', 40' e 75', Sormani 67'; Vasovic 60' rig); 28 maggio 1969 Santiago Bernabéu, Madrid

mercoledì 20 novembre 2013

Ronaldo in, Ibra out

Russia, Israele, Azerbaigian, Irlanda del Nord e Lussemburgo. Alzi la mano chi, a vedere questi nomi accostati a quelli del Portogallo, ha pensato anche solo per un istante che i lusitani non avrebbero concluso davanti a tutti. Penso nessuno. Il girone di qualificazione, però, l'ha vinto la Russia, precedendo di un solo punto il Portogallo, che è stato dunque costretto a giocarsi i play-off.  Dall'urna è uscito il nome della Svezia: di nuovo Ronaldo contro Ibra, come in Manchester United-Inter, Real Madrid-Barcellona, Real Madrid-Milan. Altra sfida: alzi la mano chi ha pensato che non sarebbero stati loro due a decidere questo scontro. Qui proprio nessuno la alza, vero?
Ora veniamo alla partita. Anzi, alle partite. L'andata, giocata all'Estadio da Luz di Lisbona, l'ha vinta il Portogallo. Cross di Veloso e testa, neanche a dirlo, di Cristiano Ronaldo. 1-0 e ci vediamo a Solna. Quattro giorni dopo si gioca il ritorno in terra svedese. Prima della partita Ibra ne spara una grossa affermando che "Solo Dio sa come finirà questa partita", proseguendo con un "Ce l'hai davanti". Eh, il solito Zlatan! Solito, certo: tante parole, ma anche tanti fatti. Due gol in 4' e Svezia avanti 2-1, con un solo gol a separarla dal Brasile. Poi, però, risale in cattedra Ronaldo, che fa anche meglio: due gol in pochi secondi. Svezia-Portogallo 2-3. L'altra rete, tanto per cambiare, l'ha messa dentro l'asso del Real Madrid. Sono 47 con la maglia della sua Nazionale. Agganciato Pauleta, che dovrà presto dire addio al record.
Ora torniamo indietro e pensiamo che quel Israele-Portogallo sia terminato 1-0 e non 1-1. Aggiungiamo due punti ai lusitani e portiamoli a 23, contro i 22 della Russia. Ecco, Ronaldo in Brasile e Russia agli spareggi. I russi pescano sempre la Svezia. Io non faccio il veggente, ma ripeto il giochino: alzi la mano chi pensa che la Svezia non possa battere la Russia. Bene. Ora vi pongo una domanda: meglio vedere Kerzhakov o Ibra al Mondiale?
Io la mia risposta ce l'ho. Voi avrete, sicuramente, la vostra. Non sono un veggente, ripeto, ma penso che le risposte siano uguali.
Ora torniamo a noi, ad ora, al Pallone d'oro. È vero, Cristiano Ronaldo ha mandato (quasi) da solo la sua Nazionale in Brasile, ma se avesse iniziato già durante il girone ad essere così decisivo? Se avesse fatto vincere già contro Israele e l'Irlanda del Nord il suo Portogallo? È indubbiamente stato decisivo, ma non poteva esserlo anche prima? Certo che poteva ed è proprio per questo che mi arrabbio; perché a quest'ora il Portogallo avrebbe potuto vincere il girone facilmente; perché a quest'ora ci sarebbe stato Svezia-Russia e non Svezia-Portogallo; perché a quest'ora, ne sono sicuro, ci sarebbe la Svezia ai Mondiali al posto della Russia; perché io, e penso anche voi, preferisco Ibra a Kerzhakov. In fondo, io, penso che abbia ragione Zlatan Ibrahimovic: che Mondiale sarà senza un personaggio del genere? Solo Dio lo sa, vero Ibra?


lunedì 18 novembre 2013

Capocannonieri della Coppa Campioni (1960-1963)

Ferenc Puskas: 12 gol nel 1959/60 con la maglia del Real Madrid. L'ungherese inizia forte, segnando una tripletta agli ottavi contro il Jeunesse Esch, timbrando una volta il cartellino anche nel ritorno. Nei quarti segna un gol contro il Nizza nella gara di ritorno in Spagna. In semifinale, nel derby contro il Barcellona, segna una volta in casa, per poi siglare una doppietta anche al Camp Nou. Con il titolo di capocannoniere già in tasca, nella finale contro l'Eintracht Francoforte, mette a segno una quaterna: record dei record, mai più eguagliato.

José Aguas: 11 gol nel 1960/61 con la maglia del Benfica. I portoghesi interrompono l'egemonia del Real Madrid, e gran parte del merito va a questo giocatore: subito in gol nel turno preliminare in casa degli Hearts, seguito da una doppietta al ritorno. Agli ottavi fa due gol in casa contro l'Ujpest. Nei quarti sigla una doppietta contro l'AGF, ripetendosi al ritorno con un'altra marcatura in casa dei danesi. In semifinale segna sia in casa che fuori contro il Rapid Vienna. Nella finale iberica contro il Barcellona segna l'1-1: alla fine la sua squadra vincerà 3-2.


Justo Tejada: 7 gol nel 1961/62 con la maglia del Real Madrid. Nel primo turno segna due gol fuori casa contro il Vasas, seguiti da un gol al ritorno. Negli ottavi segna un gol in casa del Boldklubben. Ai quarti segna un gol alla Juventus nella terza partita, quella di spareggio dopo il doppio 1-0 delle partite "normali". In semifinale segna una doppietta allo Standard Liegi. Perderà la finale 5-3 contro il Benfica.





Heinz Strehl: 7 gol nel 1961/62 con la maglia del Norimberga. Inizia con una doppietta nei preliminari contro il Drumcondra, mentre al ritorno ne farà addirittura tre. Agli ottavi segna in casa del Fenerbahce. Viene eliminato dal Benfica ai quarti, pur vincendo la partita d'andata, in cui sigla il suo ultimo gol.






Bent Lofqvist: 7 gol nel 1961/62 con la maglia del Boldklubben. Segna tutti i gol nel primo turno: prima due in casa del Spora Luxemburg, a cui riserva, poi, una cinquina al ritorno. Sulla sua strada incontrerà il Real Madrid agli ottavi, che lo farà fuori facilmente.










Alfredo Di Stéfano: 7 gol nel 1961/62 con la maglia del Real Madrid. Nel ritorno dei preliminari segna una doppietta al Vasas. Agli ottavi, sempre al ritorno e sempre in casa, rifila una tripletta al Boldklubben. Ai quarti segna il gol vittoria in casa della Juventus. Segna il suo ultimo gol nella semifinale d'andata contro lo Standard Liegi. In finale perderà 5-3 contro il Benfica.
















Ferenc Puskas: 7 gol nel 1961/62 con la maglia del Real Madrid. A secco nel primo turno, sigla una doppietta agli ottavi contro il Boldklubben, rifilandogli un gol anche al ritorno. Rimane poi a secco fino alla semifinale di ritorno contro lo Standard Liegi. In finale si esalta e segna una tripletta, ma non basta: il Benfica vince 5-3. 



José Altafini: 14 gol nel 1962/63 con la maglia del Milan. Record per l'italo-brasiliano: nei preliminari ne rifila cinque all'Union Luxemburg, ripentendosi al ritorno con una tripletta. Ai quarti segna in casa del Galatasaray, aggiungendo un'altra tripletta al ritorno. In semifinale si ferma, ma per la finale è carico: è sua la doppietta che stende il Benfica, coronando il Milan campione d'Europa.






Riassunto delle edizioni: Le prime quattro edizioni degli anni '60 continuano a parlare iberico. Il Real Madrid completa la sua cinquina, con una finale da favola contro l'E. Francoforte, vinta per 7-3: Di Stéfano ne mette dentro tre, ma è Puskas l'eroe di giornata, grazie alla sua quaterna, che è ancora oggi nel libro dei record. Nel biennio successivo il Benfica riesce a spezzare il dominio dei Blancos, grazie ad una squadra dall'indubbio valore, a cui si aggiunge il mitico Béla Guttmann in panchina. Prima è il Barcellona ad arrendersi ad Aguas e compagni, l'anno dopo è il Real Madrid, che nulla può contro il fenomenale Eusébio. Nel 1963 la storia cambia e la Coppa (dopo sette anni) lascia la penisola iberica. Il Benfica prova a vincere la terza edizione di fila, ma Altafini e il Milan hanno altri programmi: Cesare Maldini alza la prima Coppa Campioni vinta da una squadra italiana.

Squadra simbolo: Benfica; grazie alle tre finali consecutive, i portoghesi di Béla Guttmann entrano di diritto nel libro del calcio. I protagonisti sul campo sono José Aguas, capitano dei due successi del 1961 e 1962, Mario Coluna, che erediterà la fascia, Cavém, José Augusto ed ovviamente Eusébio, giocatore chiave per la conquista del secondo titolo.





Giocatore simbolo: Ferenc Puskas; è vero che le primavere superavano ormai la trentina, ma l'ungherese continuava a stupire tutti. Bomber implacabile, si è portato a casa due titoli di capocannoniere (non sarebbero stati gli unici), segnando una quaterna e una tripletta, vincendo anche la Coppa nel 1960, dopo quella vinta l'anno prima.




Albo d'oro:
1959/1960: Real Madrid-Eintracht Francoforte 7-3 (Di Stéfano 27', 30' e 72', Puskas 45', 54', 60', e 70'; Kress 19', Stein 71' e 75'); 18 maggio 1960 Hampden Park, Glasgow;

1960/61: Benfica-Barcellona 3-2 (Aguas 30', Ramallets o.g. 30', Coluna 54'; Kocsis 20', Czibor 75'); 31 maggio 1961 Wankfdorstadion, Berna;

1961/62: Benfica-Real Madrid 5-3 (Aguas 25', Cavém 34', Coluna 51', Eusébio 65' e 68'; Puskas 17', 23' e 38'); 2 maggio 1962 Stadio Olimpico, Amsterdam;

1962/63: Milan-Benfica 2-1 (Altafini 58' e 70'; Eusébio 19); 22 maggio 1963 Wembley, Londra

domenica 17 novembre 2013

Capocannonieri della Coppa Campioni (1956-1959)

Milos Milutinovic: 8 reti nel 1955/56 con la maglia del Partizan Belgrado. Segnò due reti nella prima partita in assoluto contro lo Sporting Lisbona (ottavi) in casa dei portoghesi. In seguito rifilò una quaterna nella partita di ritorno e un'altra doppietta nell'andata dei quarti contro il Real Madrid, poi futuro campione.






Dennis Violet: 9 gol nel 1956/57 con la maglia del Manchester United. Segnò un gol in casa dell'Anderlecht e ben quattro nel ritorno all'Old Trafford (10-0) nel turno preliminare. Negli ottavi fece una doppietta al Borussia Dortmund in casa. Nei quarti segnò un gol sia in casa che in trasferta contro l'Athletic Bilbao. In semifinale incontrò il Real Madrid e venne eliminato dai futuri campioni.













Alfredo Di Stéfano: 10 gol nel 1957/58 con la maglia del Real Madrid. I Blancos vincono per la terza volta consecutiva e devono dire (ancora) grazie all'argentino: doppietta agli ottavi in casa del Royal Antwerp; quattro gol in casa nel derby contro il Siviglia ai quarti; tripletta in casa contro il Vasas in semifinale; e l'1-1 in finale contro il Milan. Finirà 3-2 per il Real Madrid.














Just Fontaine: 10 con nel 1958/59 con la maglia dello Stade de Reims. Pronti-via e arriva già una quaterna in casa dell'Ards nel turno preliminare, seguita da una doppietta al ritorno, in Francia. Agli ottavi arrivano altri due gol in casa dell'HPS Helsinki. Altra doppietta ai quarti in casa contro lo Standar Liegi. In semifinale rimane a secco e nella finale contro il Real Madrid (in una rivincita del 1956) sono ancora gli spagnoli ad uscire vincitori (2-0).




Riassunto delle edizioni:

Le quattro edizioni della Coppa Campioni svoltesi negli anni '50, hanno visto il Real Madrid C.F. scrivere la storia. La squadra spagnola, grazie a giocatori come Alfredo Di Stéfano, Raymond Kopa, Francisco Gento, Miguel Muñoz, Héctor Rial, riesce a far fuori qualsiasi avversario gli si presenti davanti. Nel 1956 e nel 1959 sono i francesi dello Stade de Reims ad arrendersi in finale, nel 1957 e nel 1958 è toccato alle italiane Fiorentina e Milan. 
Altra squadra in grande ascesa fu il Manchester United di Sir Matt Busby, semifinalista nel 1957 e nel 1958; purtroppo in quello stesso anno l'aereo che da Monaco di Baviera doveva riportare a casa la squadra, ebbe un incidente, causando la morte di otto giocatori.

Squadra simbolo: Real Madrid; ovviamente sono i Blancos la squadra simbolo degli anni '50. Gli artefici in panchina della supremazia delle Merengues, sono José Villalonga (1956 e 1957) e Luis Carniglia (1958 e 1959), anche se con una squadra così era davvero difficile sbagliare.

Giocatore simbolo: Alfredo Di Stéfano; l'attaccante di origine argentina era ormai sulla trentina, ma è stato lui l'anima del Real Madrid. Sempre presente nei momenti decisivi, come dimostrano le quattro reti in altrettante finali. E non sarebbero state le uniche... 







Albo d'oro:
1955/56: Real Madrid-Stade de Reims 4-3 (Di Stéfano 14', Rial 30' e 79', Marquitos 67'; Leblond 6', Templin 10', Hidalgo 62'); 13 giugno 1956 Parco dei Principi, Parigi;

1956/57: Real Madrid-Fiorentina 2-0 (Di Stéfano rig. 69', Gento 76'); 30 maggio 1957 Santiago Bernabéu, Madrid;

1957/58: Real Madrid-Milan 3-2 d.t.s. (Di Stéfano 74', Rial 79', Gento 107'; Schiaffino 59', Grillo 78'); 28 maggio 1958 Heysel, Bruxelles;

1958/59: Real Madrid-Stade de Reims 2-0 (Mateos 2', Di Stéfano 47'); 3 giugno 1959 Neckarstadion, Stoccarda

giovedì 14 novembre 2013

Io ci credo!


Non sono mai stato un amante del Ranking FIFA, né di quello UEFA, però vorrei partire proprio da un dato: l'Islanda, a giugno 2012, era al 131° posto nella classifica delle nazioni. Ora vi occorre sapere che in totale sono 207 e che agli ultimi posti troviamo nazioni come Mongolia, Isole Vergini, Seychelles e altri stati in cui, magari, sarà bello andare a farsi una vacanza, non di certo vedere una partita di calcio. L'Islanda, invece, oltre che essere una terra davvero splendida (parere personale), ha una tradizione calcistica sicuramente superiore a quella del Suriname (attuale numero 131). Ovvio, son sempre l'Islanda, e di soddisfazioni ne hanno avute ben poche, ma quest'anno potrebbe essere l'anno giusto. 
Ora l'Islanda è al 46° posto nel Ranking FIFA, complici gli ottimi risultati ottenuti nelle Qualificazioni al campionato del mondo del 2014, in cui gli uomini di Lars Lagerbäck sono arrivati secondi alle spalle della Svizzera, disputando delle buone gare, seppur con brutte battute d'arresto (sconfitta con Cipro), ma mostrando delle ottime potenzialità, soprattutto in giocatori come Kolbeinn Sigþórsson, giovane attaccante dell'Ajax, e Gylfi Sigurðsson, centrocampista offensivo del Tottenham Hotspur; entrambi a quota 4 gol segnati nel girone, dietro solo allo sloveno Novakovic. Gli Strákarnir okkar (i nostri ragazzi), soprannome della Nazionale Islandese, si affideranno soprattutto a loro per riuscire a superare la Croazia negli spareggi e scrivere il loro nome nella storia. Infatti l'Islanda mai si è qualificata ad una competizione internazionale e questa potrebbe davvero essere la volta giusta. 
Sono passati 66 anni dall'esordio contro la Norvegia a Reykjavík (partita persa 4-2) e oggi più che mai la Nazionale Islandese può fare il vero salto di qualità e partecipare ai prossimi Mondiali. Certo, in Brasile sarà tutta un'altra storia, ma già arrivarci sarebbe una splendida vittoria.
Forza Islanda, io ci credo!


La Nazionale Islandese festeggia dopo aver raggiunto i play-off per il Mondiale

mercoledì 13 novembre 2013

Greaves, Francis, Bale e la crescita del calciomercato


Gareth Bale, nell'ultima finestra di calciomercato, si è trasferito dal Tottenham Hotspur al Real Madrid per una cifra compresa tra i 91 e i 100 milioni di euro. La cifra esatta non è stata resa nota, ma ormai Bale è diventato per tutti "Mister 100 milioni", perché per tutta l'estate sull'asse Londra-Madrid si è trattato su questa base, con punte di addirittura 145 milioni; numeri impressionanti! Impressionanti soprattutto qui in Italia, dove solo il Napoli è riuscito a sborsare tanti soldi per un giocatore (Higuain è arrivato per 40 milioni proprio dal Real Madrid), ma solo grazie alla vendita di Cavani al PSG, che ha praticamente in rosa solo giocatori provenienti dalla Serie A. In giro per l'Europa non sono stati da meno: basti pensare ai 50 milioni pagati dall'Arsenal al Real Madrid per avere Mesut Özil, che si è visto incredibilmente relegato in panchina dopo gli arrivi di Isco e, appunto, Gareth Bale. Per alcuni è stato strapagato, in quanto non pensano che valga tutti quei soldi. E in effetti il gallese non ha iniziato alla grande la sua avventura spagnola: tra infortuni e un ambientamento difficile, non è riuscito sin da subito a dare il meglio di sé, finendo per essere schiacciato dal peso di quei "100 milioni". Era proprio questo il rischio di prendere un giocatore per quella cifra, il rischio di vederlo soffocato dalla sua nuova etichetta, il rischio di dover comunque dimostrare di valerli quei soldi; perché a volte non basta essere bravi, a volte bisogna superarsi e reinventarsi. Bale è sicuramente un grande giocatore, ma è anche vero che non è un campione e che quei soldi, quei tanti soldi, non li vale, semplicemente perché per superarsi e reinventarsi devi essere un campione in senso assoluto e l'ex Tottenham non lo è. È forte, ma non vale 100 milioni: lo sanno tutti e lo sapeva anche Florentino Perez; ma vuoi mettere il vanto di avere i due giocatori più pagati di sempre in rosa con l'avere "solamente" un Bale pagato 40-50 milioni? Non sia mai, perché ormai conta più la forma che la sostanza e gli affari a buon mercato vengono visti con riluttanza. Poi però guardi in Italia e trovi la Juventus che ha pagato uno dei migliori centrocampi d'Europa (Pirlo, Vidal, Pogba, Marchisio) la misera somma di 10 milioni. Ah, ma allora c'è ancora qualcuno che non si perde in inutili trattative milionarie, o forse, più semplicemente, in Italia non ci sono i soldi e allora si fa di necessità virtù? La seconda alternativa ha più senso. E forse la risposta di tutti questi discorsi sul calciomercato è proprio contenuta in quella parola: senso. Perché chi riesce a capire qualcosa in tutti questi giri di soldi è bravo. E se è vero che adesso ci sono più soldi rispetto agli anni passati, è anche vero che prima venivano usati meglio e con più moderazione; perché infondo Bale non ha ancora dimostrato nulla e difficilmente sarà lui l'uomo decisivo per le sorti del Real Madrid. Il gallese passerà alla storia come uno strapagato, vedendo passare in secondo piano tutte le sue indubbie doti tecniche. Quindi faccio una domanda: siamo sicuri che Bale abbia fatto bene ad andare al Real Madrid in queste condizioni? Solo il tempo ce lo dirà.

Adesso torniamo indietro fino agli anni '60. Rimaniamo sempre in Inghilterra, sempre a Londra, per parlare proprio di un calciatore londinese: Jimmy Greaves. Bastano tre parole per descriverlo: The goal machine. Macchina da gol. Con i suoi 44 gol in appena 57 apparizioni, è il terzo cannoniere della Nazionale Inglese, dietro solo a Bobby Charlton e Gary Lineker. Bomber di razza, detiene il record di gol segnati in First Divison: 357 in 516 partite. Ha sempre giocato in squadre della sua città, fatta eccezione per la parentesi italiana al Milan. Nel club rossonero non riuscirà ad ambientarsi e verrà rispedito a casa in pochi mesi. Il suo rendimento comunque parla per lui: 12 partite 9 gol. Menomale che non si era ambientato! Nel 1961, dopo quattro anni al Chelsea e qualche mese al Milan, è il Tottenham a farsi avanti per lui. Qui i dettagli dell'acquisto si sanno e sono entrati nella leggenda: 99,999 £. Solamente una Sterlina sotto le 100,000. Il motivo di questa curiosa cifra? Bill Nicholson, allenatore degli Spurs, non voleva caricare Greaves della pressione per essere il primo giocatore ad essere pagato 100,000 Sterline. Secondo il vecchio Jimmy, però, le cose sono andate diversamente: era lo stesso Nicholson che non voleva essere il primo manager a comprare un giocatore ad una cifra così alta. Fatto sta, che Jimmy Greaves è diventato il cannoniere più prolifico nella storia del club di Londra, portando a casa due FA Cup, due Charity Shield e una Coppa delle Coppe in cui, manco a dirlo, si laureò capocannoniere. Alla voce First Divison lo spazio rimane vuoto: un grande peccato per un giocatore così forte. Si consolerà nel 1966 con la vittoria del Mondiale, anche se un infortunio lo terrà fuori dal campo per tutta la parte centrale della competizione, fino alla finale in cui vedrà il suo sostituto, Geoff Hurst, segnare l'unica tripletta in un atto decisivo. Jimmy tornerà a casa da campione, ma con la coda tra le gambe e senza la maglia da titolare dei Three Lions. Poco importa per The goal machine, perché ormai aveva dimostrato a tutti che quelle 100,000 £ le valeva tutte, figuriamoci 99,999!

Jimmy Greaves con la medaglia di campione del mondo nel 1966
Quasi vent'anni dopo una storia simile si ripete con Trevor Francis. Non il miglior attaccante in circolazione, non una vera e propria macchina da gol, ma un buon attaccante che aspettava la chiamata giusta. Quella chiamata arriva all'inizio del 1979: Trevor è negli Stati Uniti a giocare (e segnare) con i Detroit Express, in prestito dal Birmingham City, con cui si era già affermato ad alti livelli nel campionato inglese. La chiamata è di quelle importanti, perché dall'altra parte ci sono i campioni in carica del Nottingham Forest. Sul piatto vengono messe 1,000,000 di Sterline: mai nessun inglese è stato pagato così tanto. Anche qui c'è un piccolo aneddoto: Brian Clough, allenatore del Forest, disse che la cifra reale fu di 999,999 £ e che venne fissata per non caricare il giocatore della "solita" pressione. In realtà non si sa se Clough disse mai quella frase, anche perché con le tasse il prezzo di Francis lievitò fino a 1,150,000 £, rendendolo di fatto e senza appello "The million pounds man". L'uomo da un milione di dollari ripagò la fiducia accordatagli il 30 maggio 1979 all'Olympiastadion di Monaco di Baviera. In programma c'era la partita che tutti vorrebbero giocare almeno una volta nella vita, la finale di Coppa dei Campioni. Davanti a 57000 spettatori, fu proprio Trevor Francis a siglare l'unico gol della gara contro il Malmö, facendo diventare il Nottingham Forest campione d'Europa per la prima volta nella sua storia. Anche in questo caso, quella cifra così alta, quel milione di Sterline, era stato speso più che bene. 

Trevor Francis bacia la Coppa Campioni

Ora torniamo ai giorni nostri. Ho già detto che Gareth Bale è senza dubbio un grande giocatore, ma qui non si tratta di essere o non essere bravi, qui si tratta di scrivere la storia. Greaves e Francis, a modo loro, ci sono riusciti. Siamo sicuri che Bale ce la farà, soprattutto avendo come compagno di squadra un Cristiano Ronaldo che sta demolendo ogni sorta di record del club di Madrid? Ovviamente no. Non lo dico perché sono un veggente o perché voglio portare sfortuna al povere Gareth, ma semplicemente perché lo vedi subito: Cristiano Ronaldo e Messi sono i tipi di calciatore in grado di cambiare la storia. L'unico modo per fare qualcosa di davvero leggendario, sarebbe portare il Galles ai Mondiali. Ma se non ci è riuscito un certo Ryan Giggs, mi sembra molto dura.
Poi magari mi sbaglio, ma una cosa è certa: con Greaves e Francis hanno in qualche modo cercato di proteggerli da un'eventuale pressione, Bale è stato letteralmente preso di mira. Anche da qui si capisce com'è cambiato, e come sta cambiando, il calcio. In bene o in male non si sa, quello lo diranno le generazioni future.


domenica 13 ottobre 2013

Fitzcult Hurrà: sempre e comunque

"Il calcio non è questione di vita o di morte. È molto di più.". Questa è la celebre frase di Bill Shankly, storico allenatore del Liverpool. E forse aveva ragione lui. Almeno in questa che è la storia di un panettiere e di undici giocatori che hanno rischiato la loro vita pur di non perdere la loro dignità.

Siamo a Kiev, nella primavera del 1942 e l'Ucraina è occupata dai nazisti. Josif Kordik, un panettiere, vede dall'altra parte della strada Nikolaj Trusevich, non un uomo qualunque a Kiev, no: Trusevich era il portiere della Dinamo, portiere di una squadra che, però, non esisteva più; come del resto anche la sua vita, ormai. Ma il buon Josif è un grande tifoso della Dinamo ed offre aiuto al suo portiere, facendolo lavorare segretamente nella sua panetteria. Spinto dal fatto di averne trovato uno, il panettiere di Kiev decide di cercare anche gli altri. Ne trova altri sette della Dinamo e tre della Lokomotiv. Erano undici, giusti giusti per formare una squadra di calcio in una città in cui il calcio non esisteva più e comunque dove ormai non contava più niente. Ma qualche tiro ad un pallone avrebbe comunque potuto riportare morale in quel di Kiev. Nello stesso momento i tedeschi decidono di organizzare un torneo: quattro squadre di soldati tedeschi ed alleati, una fatta di ucraini collaborazionisti (la Rukh) e i nostri "panettieri", che vengono rinominati Start. 
La partita inaugurale è una lotta interna: Start contro Rukh. Ora, c'è da dire, che seppur malconci, quelli della Start erano gli unici professionisti presenti. Finisce infatti 7-2 per Trusevich e compagni, che non si fermano più, asfaltando chiunque gli si presenti davanti e riaccendendo i sorrisi sulla facce dei cittadini di Kiev. Tra l'entusiasmo generale, il 6 agosto 1942 si gioca l'atto finale: l'inarrestabile Start affronta i tedeschi della Luftwaffe, la Flakelf. Ma anche stavolta non c'è storia. Finisce 5-1 per gli ucraini. I tedeschi, però, non ci stanno ed organizzano la partita di ritorno, che si sarebbe giocata tre giorni più tardi.


Il 9 agosto 1942 a Kiev faceva tanto caldo, talmente tanto da far scoppiare i cocomeri. O almeno così si diceva per le strade, che erano completamente sommerse dai manifesti.
Allo stadio Zenit si sarebbe giocata una partita destinata ad entrare nella leggenda. Si sarebbe giocata la rivincita tra la Start e i tedeschi, che stavolta avevano preso tutti i migliori ufficiali, quelli più bravi a giocare a calcio. Quella partita gli ucraini l'avrebbero giocata per i loro tifosi, per tutti i loro connazionali che grazie ad una partita di calcio riuscivano a dimenticarsi di tutto il resto, di tutto quello che stava realmente accadendo nel mondo. Quella partita, i giocatori della Start l'avrebbero giocata per non tradire la fiducia della loro gente.
Allo stadio Zenit solo i tedeschi hanno diritto agli spogliatoi, per gli ucraini una baracca. E proprio lì, ricevono la visita di un ufficiale (che si scoprirà essere l'arbitro), che li avverte che avrebbero dovuto fare il saluto nazista prima dell'inizio. Ma gli ucraini non ci stanno. Sono comunisti loro, non avrebbero perso la loro dignità abbassandosi a fare il saluto nazista. Mettono il pugno al cuore ed urlano "Fitzcult Hurrà", che tradotto vorrebbe dire "viva la fisi-cultura", ma che in realtà non è altro che un "viva lo sport", quello che veniva urlato sempre.
Quando la partita inizia, si capisce subito che non sarebbe stato un pomeriggio facile per la Start. I tedeschi, infatti, passano in vantaggio con un gol in netto fuorigioco. Ma a quel punto i campioni ucraini iniziano a far vedere il meglio di loro stessi, segnando tre volte in meno di venti minuti. Il primo tempo finisce 3-1 per la Start, che riceve un'altra visita a questo punto. Il succo della conversazione più o meno è questo: noi, tedeschi, non possiamo perdere; voi, ucraini, potere perdere eccome la vita.
In un clima di terrore, riprende la partita. La Flakelf segna subito due gol, portandosi sul 3-3. Ma è qui che l'orgoglio della Start esce definitivamente, consegnandoli alla leggenda. Si liberano da tutte le paure e da tutte le pressioni che avevano addosso, segnando altri due gol. Klimenko sbeffeggia gli avversari, scartandoli tutti, compreso il portiere, prima di girarsi e spazzare la palla via anziché fare la sesta rete. È un affronto unico ai nazisti: non solo hanno perso, ma vengono pure presi in giri.
Finisce 5-3 per la Start. Quello che succederà dopo è facilmente intuibile. Si salveranno solo Tyutcheve Goncharenko, a cui verrà pure dedicata una statua. Fu proprio lui a raccontare la storia della Start e a farla entrare di diritto nella leggenda. La storia di una squadra che non ha avuto paura della morte, ma anzi l'ha affrontata, sconfiggendola pure e mantenendo alta la propria dignità. La storia di una squadra che anche in un momento delicato come quello, è riuscita a ricordarsi che il calcio è semplicemente uno sport. Anche quando non stavano giocando una partita qualunque, ma la Partita della Morte, una di quelle partite che sarebbero rimaste per sempre nel mito di questo sport.
Quindi gridiamolo tutti insieme: Fitzcult Hurrà, perché avevano ragione loro. E aveva ragione anche Shankly.


venerdì 20 settembre 2013

Semplicemente Eduard Streltsov

In Russia ci fu un giocatore talmente bello ed elegante, che fu soprannominato il "Pelé Bianco". Lo stesso Pelé disse che gli sarebbe potuto essere addirittura superiore. Degli atteggiamenti troppo da "divo" gli stroncarono la carriera e la vita, mandandolo nei gulag siberiani. Qui, lavorando in miniera, si ammalò di cancro, morendo a soli 53 anni.
La sua carriera comunque riprese, dopo sette anni d'inferno. Tornò a giocare e a strabiliare il mondo del calcio. Il suo colpo preferito era il tacco. E se andate ancora adesso in Russia, i bambini vi diranno: «Hey, guarda come faccio bene lo Streltsov.»
Eduard rimane vivo nella mente di chi lo ha visto giocare. Ma rimane vivo anche grazie a tutti quei ragazzi che ne imitano le gesta, consacrandolo nella leggenda. Per loro rimane un esempio, un simbolo, da copiare, senza conoscere tutti i segreti del nome. 
Bello, bravo e ribelle: il Pelé Russo, fu anche il Best Russo. "Donne, vodka e gulag", si intitola un libro su di lui. Due uomini diversi, accomunati dalle loro passioni. Ma perché perdersi in inutili paragoni? Eduard Streltsov fu, è, e sempre sarà Eduard Streltsov: il calciatore, l'uomo, rovinato da un semplice rifiuto, trasformato poi in molestie sessuali. Tutte balle, ovviamente. Ma provate voi a tirar fuori la verità dalla Mosca degli anni '50.
E come ultima frase, lascio il suo congedo, quello più triste, ma soprattutto più veritiero di tutti, detto sul letto d'ospedale alla moglie, dopo oltre trent'anni d'attesa: "Ero innocente. Non ho mai fatto quello per cui mi hanno accusato."


martedì 17 settembre 2013

Dalla Lega Pro alla Champions League: il sogno di Giulio Donati

Stasera Manchester United e Bayer Leverkusen giocheranno all'Old Trafford una partita valida per la prima giornata della fase a gruppi della UEFA Champions League. Nella formazione delle "Aspirine" c'è un giovane terzino italiano, proveniente dall'Inter: Giulio Donati. 
Donati è un ragazzo del 1990, che ha passato le ultime tre stagioni in prestito tra A e B, subendo pure una retrocessione. Nello scorso Campionato di Serie B, infatti, ha militato nel Grosseto ultimo classificato. A conti fatti, Donati ha rischiato di giocare la Lega Pro nella stagione in corso. Ma il destino aveva altri programmi per questo ragazzo. Devis Mangia lo convoca per gli Europei U21 in Israele, dove l'Italia si piazza seconda e Donati è uno dei migliori Azzurrini. La paura della Lega Pro è solo un ricordo ormai, adesso sarebbe ricominciata la sua carriera. 
Fortunatamente per lui, è rientrato all'Inter, dove non ha comunque trovato spazio. In lui, però, crede il Bayer Leverkusen - che lo compra per 3 milioni di Euro -, dove Giulio diventa subito titolare in queste prime giornate di Bundesliga. Un avvio ottimo per la formazione di Sami Hyypiä, che dopo cinque giornate si ritrova terza, dietro solo a Borussia Dortmund e Bayern Monaco. 
Il gioco adesso inizia a farsi duro con l'esordio in Champions League. Giulio dovrà dimostrarsi maturo e non farsi intimidire dal grande calcio, quello che conta davvero. Ma lo stadio è quello giusto; perché se è vero che dalla Lega Pro alla Champions League può sembrare tutto un sogno, il miglior modo per crederci davvero è giocare nel Teatro dei Sogni!
Ma del resto, uno che era entrato nelle grazie di Mourinho, non poteva rimanere a girovagare la Serie B. Bravo Giulio!


martedì 20 agosto 2013

Un club non a caso


Come ben saprete Pablo Osvaldo è andato al Southampton, che ha sborsato una cifra vicina ai 17 milioni di euro per aggiudicarsi l'attaccante nato a Buones Aires, i cui rapporti con la tifoseria Giallorossa erano ormai ai minimi termini. 
Per chi non lo sapesse, Southampton è una città dell'Hampshire, una contea nel sud dell'Inghilterra, dove tra le altre c'è anche la città di Portsmouth, altra città calcistica inglese, sede dell'omonima squadra. Il Southampton F.C. non è l'ultimo club arrivato, ma è un club con una grande tradizione alle spalle, già vincitore di una FA Cup e a lungo presente nella massima Divisione Inglese. Rimanendo in tema di attaccanti, Osvaldo ha scelto una squadra che ha avuto dei nomi pesanti in rosa. Basti pensare che il mitico Alan Shearer iniziò qui la sua carriera, giocando quattro anni con i Saints andando a segno 43 volte, prima di andare al Blackburn e al Newcastle, per diventare il miglior marcatore della Premier League con 260 gol. Oppure, basti citare il capocannoniere Mick Channon, attaccante di quel Southampton che vinse la FA Cup, che segnò 227 gol con questa squadra. Ma dal mazzo dei grandi cannonieri, ne prenderei un altro, un centrocampista. Un centrocampista da oltre 200 gol con la maglia dei Saints, il primo centrocampista a segnare 100 gol nel massimo Campionato Inglese. Sto parlando di Matthew Le Tissier, uno dei più grandi artisti del pallone degli anni '90. Perché se è vero che ci sono le star e i campioni, è anche vero che il calcio ha bisogno di artisti veri, capaci di inventare traiettorie nuove e rapire il cuore della gente. Matt appartiene sicuramente a questa categoria e il fatto che i tifosi del Southampton si ricordino ancora oggi di lui ne è la dimostrazione.
Quindi, caro Pablo, se pensi di essere andato via da Roma per essere in pace, forse hai fatto la scelta giusta. Ma se pensi che adesso non avrai pressioni, ti sbagli di grosso. Perché questo non è un club a caso, è il club degli esordi di Alan Shearer, ma sopratutto è il club di Matthew Le Tissier. Benvenuto in Inghilterra.


lunedì 19 agosto 2013

La Corta dei Miracoli


Ci sono storie brevi e sconosciute capaci di segnare un'epoca. Sono durate un attimo, giusto il tempo di far vivere grandi emozioni ad un'intera città. Poi, però, le favole svaniscono e bisogna tornare con i piedi per terra, senza sapere che nel frattempo si era cambiata la storia.
È il caso di Corrado Viciani, un ex calciatore ed allenatore italiano, con un carriera trentennale in panchina. Tra le varie squadre da lui guidate, troviamo anche la Ternana. Una squadra in rapida ascesa, che nel giro di neanche dieci anni si ritrova dalla Serie D alla Serie A. Viciani porta gli umbri dapprima in B, poi in un secondo momento, compie il miracolo di portarli in A. Il gioco era innovativo, fatto di possesso palla e scambi brevi, con cambi di posizione e reparti corti. Era nata la "Corta dei Miracoli".




Corrado Viciani arriva alla Ternana nel 1967, ottenendo subito la promozione dalla Serie C alla Serie B, dove gli umbri mancavano da vent'anni. Nel campionato successivo si salva, arrivando decimo. Poi va all'Atalanta e al Taranto. Torna nel 1971, vincendo il Campionato di Serie B, conquistando la prima, storica promozione in Serie A delle Fere, che è diventata la prima squadra umbra a raggiungere la massima serie. Un traguardo incredibile, che ha avvicinato la città alla squadra, i tifosi ai giocatori. 
Gran parte del merito è proprio di Viciani, un vero e proprio innovatore del gioco. In un calcio in cui si lasciava che fosse l'avversario ad attaccarti, per poi colpirlo in contropiede, il tecnico nato in Libia preferiva che fosse la sua squadra ad avere la palla, avanzando tutti insieme facendo dei brevi e precisi passaggi, lasciando che fosse l'avversario a dover correre. 
Questa descrizione vi ricorda qualcosa? Se dite Barcellona, avete proprio centrato il punto. Infatti la Ternana ha anticipato di quarantanni il gioco di Guardiola. L'unica differenza, è che in quella squadra non c'erano Xavi, Iniesta e Messi. Erano tutti dei gregari, dei gran lavoratori, che si applicavano al massimo per cercare di trasformare in pratica la teoria di Viciani. "Se la palla ce l'hai sempre tu, è più facile che riesca a far gol". Un concetto talmente semplice, da cadere nel ridicolo. Ma era un'innovazione nel calcio di allora, in cui si facevano dei lanci lunghi per cercare la punta e andare a segnare. Viciani seppe rivoluzionare i metodi di gioco, ma non solo. Infatti, non avendo in squadra dei campioni a livello tecnico, sapeva che avrebbe dovuto puntare tutto sulla forma fisica. I suoi allenamenti erano massacranti, ma il tutto era finalizzato a creare dei giocatori instancabili, capaci di avanzare verso la porta avversaria e tornare in difesa per tutti i 90'; perché, come già detto, si andava avanti insieme, cercando di confondere l'avversario con tutti quei passaggi corti e i cambi di posizione. 
I risultati non furono sensazionali, infatti nella stagione in Serie A la squadra arrivò ultima, ma fecero sognare una città come Terni, che dopo anni di delusioni e reclusioni in serie minori, riusciva finalmente ad assaporare il grande calcio. Perché con questa promozione, la Ternana avrebbe affrontato squadre come Juventus, Milan e Inter. Squadre che non solo dominavano l'Italia, ma andavano bene anche in Europa, come dimostrano la vittoria del Milan nel 1969 e le finali di Inter e Juve nel 1972 e nel 1973. Non è un caso, che in tutti e tre gli anni, l'altra finalista di Coppa Campioni sia stata l'Ajax di Johan Cruijff. Il gioco era lo stesso. Passaggi brevi, scambi di posizione, far correre l'avversario. Il gioco di Viciani era stato "plagiato", ma con maggiori soddisfazioni. Il calcio olandese vincerà quattro Coppe Campioni di fila dal 1970 al 1973 (con Feyenoord e poi le tre dell'Ajax), oltre a sfiorare la Coppa del Mondo nel 1974 e nel 1978. 
Viciani se ne andrà a fine campionato, dopo la retrocessione, per poi tornare nel 1981 e ancora nel 1988, senza ottenere più risultati di prestigio.
L'attuale tecnico delle Fere, Domenico Toscano, ha detto: "Terni è una città operaia, qui si vive di lavoro e sacrificio, se volete indossare questa maglia con onore per lei dovrete lavorare e sacrificarvi". Forse è proprio per questo che la Ternana di quegli anni ottenne quei risultati. Perché era una squadra di gregari, di operai disposti a sacrifici. Non erano dei campioni, erano degli uomini che giocavano a calcio. Un calcio nuovo e rivoluzionario, capace però di restare umile e di premiare il sacrificio. Un calcio in cui la città di Terni ha saputo rispecchiarsi e di cui si è innamorata a tal punto da seguire la squadra ovunque.



L'Ajax de nojandri era questo: una squadra umile e con tanta voglia di lavorare, guidata da un grande maestro del calcio come Corrado Viciani. Nei libri di storia forse non la trovate, ma quando guardate Busquets, Xavi e Iniesta fare quei mille passaggi prima di servire quello decisivo a Messi, immaginateveli con una maglia rosso-verde addosso e provate a rievocare gli anni d'oro della Ternana. Oppure, più semplicemente, guardate qualche partita di Serie B quest'anno, sperando che grazie a questo post vi sia venuta un po' di simpatia per questa squadra. Una squadra che i tifosi continuano tutt'oggi a seguire ed amare, sperando che nel giro di poco tempo le sfide con Juve, Milan ed Inter tornino ad essere sfide di Campionato.


Un grazie a Nicolò per avermi chiesto di scrivere sulla squadra della sua città, e per aver creduto nelle mie capacità 

giovedì 15 agosto 2013

La Germania spezza sogni, parte tre: Wunderteam

Ci sono delle date che difficilmente verranno scordate, perché hanno scritto la storia. La storia del calcio. Ci sono il 1954 e il 1974. Ma c'è anche il 1938, dove, oltre che la storia calcistica, venne anche cambiata la Storia, quella con la S maiuscola. Parlando però solo di calcio, la nazione che unisce questi anni è la Germania. Una Nazionale in grado di spezzare i sogni di chi avrebbe di sicuro meritato un posto nella storia, nel 1954 e nel 1974; una nazione in grado di privare della libertà, nel 1938.


Ultimo capitolo di questo viaggio nel tempo, iniziato nel 1954, passando per il 1974, per poi fare un bel balzo indietro fino al 1938. 
Stavolta però si cambia registro, perché questa volta la Germania (unita per l'occasione) si supera e non fa nemmeno arrivare l'Austria al Mondiale del 1938 in Francia. Non solo si limita a fermare uno degli squadroni dell'epoca, ma decide di cancellare tutta l'Austria dalle cartine. Perché stavolta non è solo una questione calcistica, questa volta non cambia solo la storia dei Campionati Mondiali di calcio e degli albi d'oro, non cambia la storia di una Nazionale. Cambia la storia di una Nazione, cambia la storia del mondo, cambia la Storia, quella con la S maiuscola.
È il 3 aprile del 1938 e si gioca allo stadio Prater di Vienna. Da circa un mese l'Austria è stata annessa alla Germania, diventando una semplice provincia orientale. Anschluss è una parola che si studia a scuola, brutta da dire, brutta da ricordare. Ma soprattutto, brutta da vivere. Perché ti annienta: annienta il tuo stato, la tua Nazione, la tua vita. E, limitandomi a parlare di quello che più mi piace, annienta la tua Nazionale. Non una semplice squadra, ma il Wunderteam, l'epico squadrone che domina insieme all'Italia gli anni '30. Si gioca quel 3 aprile, ma non perché si voleva fare una semplice amichevole. Si gioca per sancire definitivamente il fatto che Germania e Austria sono ormai una cosa sola. Si gioca senza motivazioni, senza voglia, ma con tanta paura e raccomandazioni. I tedeschi non potevano perdere e gli austriaci non dovevano vincere. Qualora qualcuno degli austriaci si fosse azzardato a segnare, avrebbe dovuto fare il saluto nazista in segno di rispetto e perdono. Si gioca, ma è come se non si giocasse. Un'interminabile noia, lunga quasi tutta la partita. Ma nel Wunderteam c'era Matthias Sindelar, probabilmente il giocatore più forte dell'epoca. Si dimentica delle minacce e si ricorda chi è: dal cilindro decide si pescare un pallonetto beffardo, che si insacca dentro la rete. Niente saluto nazista, niente scuse, niente rispetto per chi di rispetto nei confronti della tua Nazione non ne ha avuto. Un gesto d'orgoglio, di rivincita. Ma anche un gesto che di fatto è una condanna a morte. La conferma arriverà solo qualche settimana dopo, quando Sindelar rifiuterà la convocazione in una Nazionale che non sentiva sua. Perché per un ebreo, giocare con una maglia con la svastica sul petto, è qualcosa che va contro tutti i suoi principi. Morirà un anno dopo, nel suo appartamento. Dopo 70 anni non si sa ancora la verità.
Il sogno di Sindelar si spezzò quel giorno. Così come quello di tutta l'Austria, di tutto il Wunderteam, che si presentava ai Mondiali francesi con tutte le carte in regola per far meglio di quel quarto posto del 1934, quando persero la finalina proprio contro la Germania. Questa volta non persero una partita, ma persero l'identità nazionale.
Anschluss è una brutta parola, triste, dolorosa, che deve essere studiata a scuola. In modo che i sogni spezzati finiscano qui. Con o senza Germania come protagonista e carnefice. Con o senza calcio a far da cornice. Perché la guerra è la cosa più stupida che si possa fare. Perché non è giusto che qualcuno debba smettere di sognare solo per le manie di grandezza di altri. Tutti sono liberi di sognare, di inseguire i loro obiettivi. Sia che il tuo sogno sia alzare la Coppa del Mondo o essere, semplicemente, un uomo libero.
L'Austria non tornerà mai più a quei livelli, salvo un terzo posto nel 1954. Proprio nel primo Mondiale della Germania, quello vinto contro la mitica Ungheria. Ero partito da lì e mi ci ricongiungo.
1938, 1954, 1974: tre grandi squadre, all'apparenza imbattibili, sconfitte proprio quando sarebbero potute diventare definitivamente grandi. 

lunedì 5 agosto 2013

La Germania spezza sogni, parte due: Arancia Meccanica

Ci sono delle date che difficilmente verranno scordate, perché hanno scritto la storia. La storia del calcio. Ci sono il 1954 e il 1974. Ma c'è anche il 1938, dove, oltre che la storia calcistica, venne anche cambiata la Storia, quella con la S maiuscola. Parlando però solo di calcio, la nazione che unisce questi anni è la Germania. Una Nazionale in grado di spezzare i sogni di chi avrebbe di sicuro meritato un posto nella storia, nel 1954 e nel 1974; una nazione in grado di privare della libertà, nel 1938.


Arriviamo al 1974, esattamente venti anni dopo che Puskas e compagni persero in maniera beffarda la loro unica chance di entrare nella storia. Il discorso non era molto diverso: squadra incredibile, idee calcistiche rivoluzionarie, un leader. Se allora fu il tanto amato Ferenc, adesso sarebbe toccato al Profeta del gol, Johan Cruijff. Il contesto era sempre quello: il Campionato mondiale di calcio. Ovviamente l'Olanda, dall'alto della sua superiorità, arrivò in finale con una facilità ridicola. Nel primo girone di qualificazione si tenne su bassi ritmi, ma dominò segnando 6 gol e subendone solo uno, contro la Bulgaria. Nel girone di qualificazione alla finale, demolì l'Argentina, la Germania Est e i campioni in carica del Brasile. Contemporaneamente, la Germania Ovest vinceva l'altro girone e si apprestava a tornare in finale dopo otto anni, dopo la tragedia di Wembley e il gol di Hurst. Era pure Campione d'Europa in carica ed arrivava da un terzo posto a Messico '70. L'Olanda era sì la migliore, ma questa Germania non scherzava per nulla.
Ma adesso fermiamoci, non ho voglia di ripetere per l'ennesima volta quella maledetta finale di Coppa del mondo. Voglio tornare indietro e portarvi con me negli anni '70. Erano appena finiti gli anni '60 (no, davvero?), quelli che cambiarono il mondo, quelli delle rivoluzioni, quelli dei giovani. Anche nel calcio era cambiato qualcosa. Era finito il dominio del Real Madrid e il modo di giocare a calcio stava cominciando a cambiare. Il gioco di squadra stava sempre più prendendo il sopravvento, a dispetto delle giocate individuali.
Nel 1965 arrivò all'Ajax, anzi tornò, un giovane allenatore, che già da giocatore ben figurò nei Lancieri. Il suo nome era Rinus Michels e il suo obbiettivo era quello di portare l'Ajax e il calcio olandese ai vertici. La sua sembrava un'utopia, calcolando che nel 1965 la squadra di Amsterdam arrivò 13esima in Eredivisie, con un panchina proprio Michels che rimpiazzò Buckingham. Ma non si perse d'animo ed iniziò a lavorare sulla sua squadra, sulle sue idee di gioco. Già la stagione successiva arrivò il titolo olandese, seguito da un'altra vittoria. Ma le cose in Europa ancora non andavano alla grande, e il miglior risultato furono i quarti di finale di Coppa Campioni del 1967. Ma nel 1969, la squadra riuscì ad arrivare in finale, dove venne però sconfitta 4-1 dal Milan di Nereo Rocco. Quello era il preludio al dominio degli anni successivi del calcio olandese. L'anno dopo il Feyenoord s'impose sul Celtic. Dal 1971 al 1973 l'Ajax vinse tre Coppe dei Campioni. Michels se ne andò al Barcellona dopo la prima vittoria, seguito nel 1973 da Johan Cruijff. Nel 1974 Michel diventò allenatore della Nazionale Olandese, che si apprestava a disputare il suo primo Mondiale dopo quello del 1938 in Francia, dove venne eliminata al primo turno. L'Olanda fino ad allora non aveva fatto nulla di buono, ma le cose stavano per cambiare.


Due parole: Calcio Totale. Vi ricordate che parlavo di innovazioni? Bene, questa è la più grande innovazione calcistica della storia. Dove è scritto che un difensore non possa attaccare? Dove è scritto che un centrocampista non possa fare il terzino? Dove è scritto che non possa essere la punta ad impostare il gioco? Tutti possono fare tutto. Michels la pensava così, e i suoi giocatori seppero tradurre i suoi pensieri in partite degne di essere considerate delle opere d'arte. Erano i migliori, superiori a tutto e tutti, nessuno avrebbe mai potuto batterli. O forse qualcuno c'era...
Ok, ripartiamo. Finale del Campionato mondiale di calcio Germania 1974, 7 luglio, Olympiastadion di Monaco di Baviera. La casa del Bayern Monaco, fresco vincitore di Coppa dei Campioni. Gli Orange battono il calcio d'inizio e cominciano a fare dei passaggi e dei movimenti che non sembrano stare né in cielo né in terra. Poi, quasi dal nulla, senza che i tedeschi abbiano la possibilità di accorgersene, si apre un corridoio, una voragine senza uomini in mezzo al campo. Cruijff, l'ultimo uomo in difesa, prende palla nella sua metà campo e con un scatto arriva nella trequarti avversaria. Accelera e si porta a spasso due uomini, il terzo, Berti Vogts, lo stende. Lo stende in area di rigore. Sul dischetto va Neeskens. Gol. Olanda 1 Germania 0 dopo poco più di un minuto, i tedeschi non avevano neanche toccato la palla. E qui finisce la partita dell'Olanda. Se c'era qualcuno in grado di battere l'Olanda, erano proprio gli stessi olandesi. Per i successivi 90' si specchiarono nella loro bellezza, quasi senza accorgersi che Breitner e Müller avevano segnato. Il tempo passò, l'Olanda non si riprese e lasciò la gloria ai tedeschi. Ancora una volta era stata la Germania ad impedire alla squadra più bella di scrivere il proprio nome nella storia. Ma stavolta senza scandali nel dopo partita, senza recriminazioni. La Germania era stata superiore, l'Olanda si vedeva già campione e fu punita. Per Michels e Cruijff fu la prima ed unica occasione di scrivere il loro nome nell'albo dei vincitori della Coppa del Mondo. Michels allenò nuovamente l'Olanda, portandola all'alloro europeo nel 1988, senza però condurla mai nuovamente al Mondiale. Cruijff decise di non andare in Argentina nel 1978. 
Quindi a spezzare i sogni fu nuovamente la Germania, che scrisse per la seconda volta il proprio nome sull'albo dei vincitori. Ma non sempre le coppe fanno la storia, e per la storia quello rimane il Mondiale dell'Arancia Meccanica, una delle squadre più belle e meno vincenti di sempre.
Ma non tutti i sogni vennero spezzati quel 7 luglio. Ero partito da un uomo, da Rinus Michels. Il suo sogno era quello di portare ai vertici il calcio olandese. E ci riuscì. Nel 1999 glielo riconobbe anche la FIFA, eleggendolo allenatore del secolo. Un allenatore che cambiò per sempre il modo di interpretare il calcio. Quando vedete Rooney ed Eto'o fare i terzini, pensate che era così già 40 anni fa ed il merito è di quest'uomo.
Il Calcio Totale resta la più grande innovazione tattica del calcio moderno. Rinus Michels e Johan Cruijff due dei più grandi geni che questo sport abbia mai visto. A loro va detto grazie. Un grazie immenso per aver cambiato per sempre la storia. 

venerdì 26 luglio 2013

La Germania spezza sogni, parte uno: Aranycsapat


Ci sono delle date che difficilmente verranno scordate, perché hanno scritto la storia. La storia del calcio. Ci sono il 1954 e il 1974. Ma c'è anche il 1938, dove, oltre che la storia calcistica, venne anche cambiata la Storia, quella con la S maiuscola. Parlando però solo di calcio, la nazione che unisce questi anni è la Germania. Una Nazionale in grado di spezzare i sogni di chi avrebbe di sicuro meritato un posto nella storia, nel 1954 e nel 1974; una nazione in grado di privare della libertà, nel 1938.


Partiamo dal 1954, da quel 4 luglio, in quell'estate svizzera. Si tornava a disputare la fase finale di un Campionato del Mondo in Europa dopo sedici anni, cioè dopo Francia 1938. I campioni in carica erano gli uruguaiani, che si spartivano equamente con l'Italia le quattro edizioni sin lì disputate. Ma gli addetti ai lavori non avevano dubbi, un nuovo nome sarebbe stato scritto nell'albo d'oro: quello dell'Ungheria. 
La storia della Nazionale Ungherese, o meglio la leggenda, inizia nel 1950. Il 4 giugno battono la Polonia a Varsavia per 5-2. Non perderanno più nessuna partita fino al 1954, umiliando i maestri inglesi nel tempio di Wembley, e poi ancora nel rematch in Ungheria. 6-3 e 7-1 i risultati: il calcio aveva trovato dei nuovi padroni. Nel 1952 arrivò pure il titolo olimpico ad Helsinki. Era una squadra che non conosceva la parola sconfitta e che dominava il mondo, esportando una nuova filosofia del calcio. Era la squadra di Gusztav Sebes in panchina, di Grosics in porta, di capitan Bozsik, di Hidegkuti, Toth, Czibor, Kocsis ed ovviamente del genio del pallone Ferenc Puskas. Non un semplice calciatore, ma uno di quelli che passano sul terreno di gioco una volta sì e altre mille no, uno di quei giocatori destinati a cambiare la storia di questo sport. Il suo score in Nazionale è impressionante: 85 partite e 84 gol. Ma c'è un suo compagno che è riuscito a fare addirittura meglio. Sandor Kocsis scese 68 volte in campo con i magiari, segnando 75 reti. Più di un gol a partita! Era una squadra perfetta, che attendeva questa Coppa del Mondo per diventare una leggenda e lasciare un'impronta indelebile nella storia del calcio. Era la squadra che cambiò per sempre il calcio, anticipando di vent'anni il calcio totale degli olandesi. Era l'Aranycsapat, la Squadra d'oro, la più bella espressione corale di calcio dell'epoca. Era una delizia per gli occhi, un inno alla gioia. Ma soprattutto era una squadra appoggiata dal governo, una squadra con il compito di rendere bella l'immagine dell'Ungheria. La vittoria del Mondiale avrebbe sicuramente contribuito a renderla migliore.
Le premesse c'erano tutte per poter succedere ad Uruguay e Italia. Il Mondiale fu strano, perché nei gironi vennero giocate solo due partite, seppur essi fossero composti da quattro squadre. Infatti le due teste di serie non si incontrarono durante i gironi. I Magiari vennero messi come teste di serie, insieme alla Turchia, con Germania Ovest e Corea del Sud. La prima partita finì 9-0 contro i mal capitati asiatici. La seconda terminò 8-3 contro una Germania Ovest imbottita di riserve, che mirarono ad un solo obbiettivo: far male a Puskas. Riuscirono a far uscire dolorante il capitano e leader ungherese, che fu costretto a salutare anzitempo il Mondiale. Salvo poi farsi trovare pronto per la finalissima. Ma anche privi del loro condottiero, i magiari riuscirono a sconfiggere 4-2 il Brasile nei quarti di finale. Con lo stesso punteggio superarono l'Uruguay in semifinale dopo i tempi supplementari, grazie a due reti di Kocsis nel finale. "Testa d'oro" era già arrivato a quota 11 reti, frutto di due doppiette, una tripletta ed una quaterna, che non solo lo proiettarono in cima alla classifica cannonieri di quel Mondiale, ma anche di quella all-time. Quindi, in assenza di capitan Puskas, fu Kocsis a trascinare la squadra fino alla finale, dove li aspettava la Germania, desiderosao di vendetta dopo l'incredibile figuraccia del girone.
In questo momento l'Ungheria è a quota 31 risultati utili consecutivi. Non perdono da quattro anni e nessuno pare avere le carte in regola per poter scalfire questa corazzata. Il sogno di diventare campioni si sta per realizzare, mancano solo 90'. Ma le sorprese sono dietro l'angolo.
Il Wankdorfstadion di Berna e i suoi 60000 mila spettatori, fanno da cornice a quella che deve essere una pura formalità per Puskas (tornato in extremis) e compagni. Battere la Germania sarà la cosa più semplice, la parte più difficile è scegliere come festeggiare. Dopo 8' i magiari sono già avanti per 2-0, grazie a Puskas e Czibor. Sembra fatta: finalmente la squadra più forte del mondo potrà vantarsi di essere campione del mondo. Ma è solo un'illusione. La realtà è che da quel momento i tedeschi iniziano a giocare, a fare sul serio, a correre il doppio. Al 18' Morlock e Rahn riportano il risultato in parità. Ma l'Ungheria non ci sta, sa di essere più forte e lo dimostra sul campo. Un gol annullato e un rigore non convalidato. "Ma come? Perché?", protesta la squadra di Sebes con l'arbitro Ling. È il segnale che il sogno si sta trasformando in incubo, che la partita della vita sarà la loro più grande disfatta. Diventano sempre più spenti e senza forze, fisiche e mentali. I tedeschi, invece, corrono come se fossero appena entrati. L'Ungheria forse nemmeno se ne accorge, ma Rahn fa doppietta al minuto 84 e completa la rimonta. I minuti passano inesorabili e l'arbitro fischia la fine, facendo entrare nella storia... facendo entrare nella storia l'Ungheria! Sì, perché magari non avranno vinto quella partita, non avranno vinto il titolo mondiale, saranno anche stati battuti dalla Germania Ovest in quella finale. Ma la storia l'avevano fatta gli undici gol di Kocsis, la leadership di Puskas, le giocate di Czibor, l'innovazione tattica di Hidegkuti, il ruolo rivoluzionato del portiere con Grosics. E soprattutto l'aveva fatta Sebes, costruendo una squadra praticamente imbattibile. Poco importa se poi ci saranno sospetti (pesanti) di doping sulla Germania, con i giocatori gialli e nauseabondi a fine partita e nei giorni successivi. Non importa a nessuno, anche perché la Coppa è nella bacheca tedesca, mentre alla mitica Ungheria resta un pugno di mosche. Un secondo posto che vale veramente poco arrivati fino a quel punto. Ma la consapevolezza di aver reinventato il calcio, portandolo ad altri livelli. Prima strabiliando il mondo in prima persona, poi mettendo le basi con il modulo usato dal Brasile bi-campione del mondo nelle successive due edizioni. Fino ad arrivare a vent'anni dopo, quando gli olandesi eleveranno ulteriormente le idee magiare, sviluppando il calcio totale. Altro bellissimo metodo di gioco, con lo stesso risultato. L'Olanda come l'Ungheria, Cruijff come Puskas. Ma questa è un'altra storia. Questo è il prossimo episodio della Germania spezza sogni.
Ma i sogni erano stati spezzati anche ai calciatori, "colpevoli" di non aver dato lustro all'immagine ungherese. La Rivoluzione del 1956 cambierà per sempre la Storia, quella con la S maiuscola. I calciatori scapparono via, lasciando solo il ricordo di quella mitica squadra. Czibor e Kocsis si riscoprirono grandi nel Barcellona, prima di perdere un'altra finale (quella di Coppa Campione del 1961 contro il Benfica) in modo beffardo. Sandor Kocsis non si riprese più da questa ennesima delusione e si suicidò nel 1979. Andò meglio a Ferenc Puskas, bandiera del Real Madrid, che insieme a Di Stefano formò una delle più grandi coppie d'attacco di sempre. Vinse tre Coppe Campioni, ma il rimpianto per non aver vinto quella partita del 1954 contro la Germania se l'è portato dentro la tomba. Anche se in realtà si prese la sua rivincita, segnando quattro gol all'Eintracht Francoforte nella finale di Coppa Campioni del 1960: è a tutt'oggi un record. Ma poco importa, perché Puskas e compagni erano già entrati nella storia del calcio. Anche nella storia dei Mondiali, perché forse quell'Ungheria era troppo bella per vincere quel titolo, e ha lasciato la gloria ad altri. Entrando comunque di diritto nella leggenda.
Aranycsapat: molto più di una squadra, un sogno nazionale. Un sogno spezzato dalla Germania.