venerdì 21 febbraio 2014

Triplette inglesi

Se dico "Inghilterra" la prima cosa che scatta alla mente è "Londra". D'accordo, è la capitale e il ragionamento fila liscio. Poi ci sono due strade percorribili: una porta al tè, l'altra al calcio. Ovviamente avete già capito quale tipo di via io preferisca prendere e, se siete qui, penso sia quella che scegliereste anche voi. L'Inghilterra, proprio per un principio storico, è legata indissolubilmente al calcio. Londra, con tutta la marea di squadre che hanno sede nella City, pure. Non solo con tutti i club, ma anche con tutti i calciatori nati nella stessa Londra. Basti pensare a David Beckham che a cavallo tra la fine degli anni '90 e l'inizio dei 2000 è diventato, probabilmente, il calciatore più conosciuto e famoso del mondo, anche e soprattutto per le sue vicende extra-calcistiche: leggasi "persona che avrebbe potuto tranquillamente fare il modello" e "matrimonio con una Spice Girl". Quindi, possiamo affermare, che Londra non solo è il richiamo internazionale al Regno Unito, ma lo è anche per quanto riguardo il football britannico. O almeno in grossa parte.
Ashton-under-Lyne potrebbe suonare nuovo ai più. Sarebbe, circa, come sapere il capoluogo di regione del Molise. Non è necessario saperlo, ma conoscere Campobasso non fa mai male. Ashton invece è leggermente più a nord del Molise, precisamente nella Greater Manchester, una contea nel nord-ovest dell'Inghilterra. Non ci vuole un genio per capire che siamo vicini a Manchester, la città che ospita lo United e il City. Capire cosa c'entri Ashton con il calcio è un po' più dura. Lì ci sono nate due persone che hanno due cose in comune, oltre al luogo di nascita: la professione e il massimo traguardo raggiunto. Uno è Simone Perrotta, calciatore campione del mondo nel 2006 con l'Italia. L'altro invece si ricollega a Londra, perché quando vinse il Mondiale, il suo capitano era proprio delle zone della capitale. Il capitano era Bobby Moore, una leggenda della Nazionale Inglese e del West Ham. Geoff Hurst era un suo compagno di club e di nazionale. Professione: calciatore; massimo traguardo: Mondiale del 1966; luogo di nascita: Ashton-under-Lyne. Il cerchio, dunque, si è chiuso? E invece no, perché manca l'ultimo tassello, quello che ci riporta definitivamente a Londra. Risponde al nome di Jimmy Greaves, ex attaccante di quell'Inghilterra campione nel '66, nato proprio a Londra. Però la finale la giocò Hurst. Perché?

Geoff Hurst con la maglia del West Ham United
Jimmy Greaves è un classe 1940, Geoff Hurst 1941. Il primo a 18 anni non compiuti è già titolare nel Chelsea, con cui firma 22 gol in 35 partite di First Division come biglietto da visita. Non male! Il secondo ci mette qualche anno in più a maturare ed è "solo" intorno ai 20 anni che riesce a strappare un posto da titolare nel West Ham United. Già i due si incrociano, sono rivali, rivali cittadini. Peccato che il primo bruci le tappe, e mentre il secondo guadagna la maglia a 20 anni, Greaves qualche mese prima ne abbia già messi dentro 100 in First Division con la maglia dei Blues. È il più giovane in assoluto ad aver centrato tale traguardo. È il 1961: Greaves ha 21 anni e Hurst 20. Il primo è a 124 gol. Il secondo a zero. D'accordo che hai un anno e due stagioni in più, ma la prima sfida l'hai vinta tu, non ci sono alibi che tengano. Troppe poche 9 presenze, contro le 169 di Jimmy. A questo punto Jimmy decide di migrare per provare nuove esperienze. Lo accoglie il Milan, che pensa di aver preso un cannoniere di razza. Infatti è così: 10 partite, 9 gol. Litiga con l'allenatore però e torna a casa in pochissimo tempo. Londra gli mancava troppo e arriva al Tottenham Hotspur, che lo paga 99.999£: guai a caricarlo del peso delle 100.000£. Ed è così, mentre Greaves torna a casa, che Hurst si guadagna la sua prima stagione da titolare: 24 presenze, 1 gol. Lontani da quello che ci aspetterebbe da un attaccante.
Le stagioni intanto vanno avanti e si arriva al 1965. Geoff Hurst si è ormai affermato: segna con una buona continuità, gioca e sono tutti contenti. Sì, ma non ha fatto i conti con Greaves. Non soddisfatto dei titoli del 1959 e 1961 vinti con la maglia del Chelsea, inanella una serie di tre vittorie consecutive nella classifica dei marcatori dal 1963 al 1965. La sua tripletta l'ha servita così, alla sua maniera: tanti gol e tante triplette vere, sul campo, ovviamente.

La stagione decisiva è quella successiva, quella dell'anno dei Mondiali. L'anno magico lo vive Willie Irvine, attaccante del Burnley, che si laurea capocannoniere con 29 gol, 6 in più di Hurst, addirittura 14 più di Greaves. Irvine, però, non viene selezionato da Sir Alf Ramsey per i Mondiali casalinghi, Greaves e Hurst sì. L'attaccante titolare, ovviamente, è lui The Goal Machine: Jimmy Greaves. E chi se no? Anche se arrivava dalla sua stagione peggiore, il migliore rimaneva sempre lui.

Jimmy Greaves con la maglia del Tottenham
È il 20 luglio 1966, si affrontano i padroni di casa inglesi e la Francia nell'ultima partita del Gruppo A, che vede l'Uruguay primo a 4, poi i Three Lions a 3, il Messico a 2 e i Galletti a 1. Partita da dentro o fuori, di conseguenza. La decide il compagno di reparto di Greaves, Roger Hunt, leggendario attaccante del Liverpool, che mette a segno una doppietta e sale a quota tre gol nel torneo. Tre dei quattro gol della Nazionale di Sir Alf Ramsey sono stati segnati da Hunt, l'altro da Bobby Charlton. Il grande Jimmy Greaves è ancora a secco, Hurst mugugna in panchina. Il 20 luglio però, durante la partita con la Francia, Greaves si infortuna e lascia il posto ad Hurst. Sarà la più grande fortuna della storia dell'Inghilterra. Tre giorni dopo, i quarti contro l'Argentina li decide proprio l'attaccante del West Ham, che manda la sua Nazionale per la prima volta tra le migliori quattro del mondo. La semifinale contro il Portogallo del temibile Eusébio si preannuncia una partita tanto bella quanto incerta. La spuntano gli inglesi, grazie a una doppietta di Bobby Charlton, che rende inutile il tentativo di rimonta finale firmato Eusébio. Hurst si mette ancora in luce e si guadagna di diritto un posto nella finalissima contro la Germania Ovest. Questa volta è Greaves che mugugna: nonostante i problemi fisici siano passati, la maglia da titolare non è più sua. 
Era un sabato. 30 luglio 1966, ore 15, Wembley, Londra. La City torna per chiudere il cerchio di tutta la storia. Non è stata una finale, è stata molto di più. Troppo semplice etichettare come partita di calcio quello che successe quel giorno. I quasi 100.000 di Wembley assistettero ad un evento unico, mai più replicato da nessuno. La finale è bellissima, le due squadre giocano a viso aperto ed offrono un grande spettacolo. Dopo 12' Haller porta in vantaggio i tedeschi. Al 18', però, sale in cattedra Geoff Hurst, che servito da un'intelligente punizione di capitan Moore non ha difficoltà a pareggiare i conti. Al 78' è da un tiro sporcato della punta inglese che nasce l'azione del vantaggio inglese: Hurst tira, Hoetgges scivola, il pallone si impenna, Peters arriva come una furia e butta dentro quello che sembra essere il colpo del KO. Ma non sarà così. Primo perché i tedeschi non mollano mai, secondo perché la partita deve entrare nella leggenda. Quando mancano una manciata di secondi alla fine è Weber a siglare il 2-2, dopo un'astuta punizione di Emmerich. Saranno dunque i tempi supplementari a decretare il vincitore di questo Mondiale. Non dei semplici tempi supplementari, ma quei tempi supplementari. Quelli  di Inghilterra-Germania Ovest. Quelli del gol-non gol di Geoff Hurst. È il 101' quando la punta inglese lascia partire un bolide dal limite dell'area piccola: la palla si stampa sulla traversa, rimbalza fuori dalla porta ma Hunt, appostato a un metro da lì, alza le braccia al cielo e fa esplodere Wembley. I tedeschi si lamentano, protestano, non hanno visto quella palla entrare. A questo punto la decisione passa al guardalinee, il sovietico Bakhramov. Basta un cenno con la testa per far entrare nella leggenda quella partita. Il suo sì fa definitivamente urlare gli inglesi, che tornano in vantaggio grazie alla doppietta di Hurst. Il secondo tempo è un assedio tedesco, che però si trovano inevitabilmente scoperti. Moore lancia Hurst a pochi secondi dalla fine e l'attaccante non sbaglia. 4-2 Inghilterra, tripletta personale per Geoff Hurst. Primo ed unico a riuscirci in una finale Mondiale. I tedeschi protestano, pensano che il guardalinee sovietico abbia favorito gli inglesi solo per vendicare l'eliminazione in semifinale dell'URSS. Ai padroni di casa queste cose non interessano e ringraziano sentitamente. Dopo anni di sberle, sono nuovamente loro i maestri del calcio. La sua tripletta Hurst l'ha messa a segno nel momento più importante, rubando la maglia a Greaves. Un vero smacco! 

Il tiro del gol-non gol di Geoff Hurst


Tornati a darsi battaglia nella First Division, i due continuano a segnare a raffica. Jimmy Greaves vince un altro titolo di capocannoniere nel 1969, l'ultimo della sua carriera: in totale sono sei, un record. Nel 1970 si ritroveranno compagni di squadra per una stagione e mezza, fino a quando nel 1971 Jimmy Greaves non dirà addio al calcio (anche se tornerà in serie minori dal 1975 al 1980). Hurst andrà allo Stoke City, prima di chiudere la sua carriera tra Sud Africa e Stati Uniti, dove troverà nei Seattle Sounders il suo ultimo club, nel 1976. 
Con la Nazionale il rapporto di Greaves sarà controverso, non verrà infatti più convocato dopo il 1967, saltando dunque il Mondiale di Messico '70, nonostante continuasse a segnare. Mentre per Hurst la sorte riserverà un carriera internazionale fino al 1972.
Le statistiche dicono che Geoff Hurst abbia segnato 299 gol in 674 partite di club. Jimmy Greaves 422 in 602 presenze. Con l'Inghilterra Hurst ha siglato 24 gol in 49 caps. Greaves la bellezza di 44 in sole 57 partite, un record superato unicamente da Bobby Charlton e Gary Lineker, che la sua media gol se la scordano. 

Jimmy Greaves con la medaglia del Mondiale


La tripletta più importante è sicuramente quella di Geoff Hurst, tre gol che hanno consegnato l'unico titolo Mondiale all'Inghilterra. Ma è una tripletta sporca, a causa di quel secondo gol che non è mai entrato. Jimmy Greaves, dal canto suo, è l'ultimo giocatore ad aver segnato 40 gol in First Division (41 nel 1961 con il Chelsea) ed è il primatista di gol nella massima serie inglese. Forse tutti si ricordano Hurst per quella prestazione, ma dimenticare la carriera di Jimmy non è comunque giusto nei confronti di un attaccante leggendario. The Goal Machine resterà sempre lui: James Peter Greaves, uno che in carriera ha segnato quasi il doppio di Hurst. A volte, però, è importante segnare i gol al momento giusto e il vecchio Geoff, in questo, è stato un maestro. Nei libri di storia troverete sicuramente il suo nome, per quello di Jimmy servirà un po' più di ricerca, ma ne varrebbe sicuramente la pena. 
Due triplette totalmente diverse, due storie che si intrecciano. Da Ashton-under-Lyne a Londra uno; da Londra a Milano andata e ritorno l'altro. È proprio vero che la City è il centro di tutto.

sabato 15 febbraio 2014

Tre giorni tristi

Gli anni passano, d'accordo, ma quando muore qualcuno d'importante nel mondo del calcio fa sempre un certo effetto. Le persone legate al pallone sembrano immortali, quasi circondate da un'aurea di immortalità. Invece, ovviamente, non è così. Sono esseri umani come tutti noi e, prima o poi, arriva il momento anche per loro di andarsene. E da un anno che è iniziato con la morte di Eusébio, uno dei più grandi delle storia, si spera solo che la striscia non continui. Purtroppo, negli ultimi tre giorni, sono venuti a mancare tre personaggi che, a modo loro, hanno contribuito alla storia del football: Corrado Viciani, Richard Møller Nielsen e Sir Tom Finney, scomparsi il 12, il 13 e il 14 febbraio. Va bene, uno classe 1929, l'altro 1937 e il terzo 1922, ma dispiace comunque. Dispiace soprattutto pensando all'apporto che hanno saputo dare al calcio. Viciani ha portato la Ternana in Serie A, reinventando il modo di giocare in Italia. Richard M. Nielsen è riuscito a portare la Nazionale Danese sul tetto d'Europa nel 1992. Un Europeo a cui non doveva nemmeno partecipare, ma che è riuscita addirittura a vincere grazie all'esclusione della Jugoslavia per cause belliche. Sir Tom Finney ha passato tutta la sua carriera al Preston North End, segnando 210 gol in 473 partite. In Inghilterra è una leggenda, avendo segnato 30 gol in 76 caps con i Three Lions, con cui ha partecipato ai primi Mondiali degli inglesi nel 1950. 
Insomma, se ne sono andate tre grandi figure della storia del calcio.




venerdì 14 febbraio 2014

D'amore e Falchetti

Ammettiamolo, non la consideriamo molto l'Umbria. Anzi, sappiamo a malapena dove sia. Siamo così noi italiani, abbastanza superficiali da non conoscere nemmeno il nostro territorio, quello per cui abbiamo lottato duramente oltre 150 anni fa. Occhio, però, appena ci toccano gli USA, Londra, Parigi. Ah, Parigi, la città dell'amore. Sì, va bene, ma anche in Italia c'è una città legata all'amore. E no, non mi riferisco a Verona con Romeo e Giulietta, ma a Perugia, dove c'è la Perugina. Ovviamente la connessione con l'amore sono i Baci, i cioccolatini, che proprio oggi dovrebbero registrare il loro picco di vendita. O almeno penso, non sono molto pratico di queste cose. E poi, stavolta lo ammetto io, il paragone Parigi-Perugia va un po' a scemare. Certo che poi son gusti: esisterà qualcuno che preferisce il caro e vecchio capoluogo umbro alla dolce capitale francese. Ecco, Perugia è in Umbria, quella regione un po' denigrata. Già, forse un po' troppo a dire la verità, perché io ho sempre reputato l'Umbria come il cuore dell'Italia: è nel centro esatto e, volendo, ricorda leggermente il cuore umano. Ah, ecco, ma allora torna l'amore? Forse sì, forse no... non son qui a scrivere storie d'amore. Ci ha già pensato quel William con Romeo e Giulietta. Non sono nemmeno qui a scrivere di geografia italiana: tanto l'Umbria se non l'avete assimilata alle elementari, è inutile che ve la rispieghi adesso. Però questa regione un po' mi ha colpito, quindi qualcosa ho voglia di raccontarvela.
Un giorno un mio amico su Facebook mi scrisse che avrei potuto buttare giù due righe sulla Ternana degli anni '70. «Bene, finalmente scopro qualcosa di nuovo», pensai. Pensiero esatto. Ci sono entrato dentro in quella storia e, magari con un pizzico di presunzione, posso affermare di aver fatto davvero un bel lavoro. Quello stesso mio amico pensa che scrivere qualcosa sul Foligno possa essere nuovamente una bella idea. Ma, allora, l'Umbria ormai si è innamorata di me, vuole farsi conoscere attraverso il calcio? Io ne son ben lieto, perché penso che questa regione meriti più importanza. Certo, il calcio, un diciassettenne, non potranno aiutare molto, ma è già qualcosa. Si fa quel che si può, in piccolo, ma lo si fa. Oh, poi se le squadre sono il Perugia, la Ternana e il Foligno non è che il calcio sia proprio lo strumento più adatto, però, le piccole squadre regalano spesso grandi storie. Poi, è ovvio che tocchi allo scrittore renderle coinvolgenti: ripeto, si fa quel che si può.
Stavolta la storia è di quelle proprio da calcio di provincia, senza i grandi palcoscenici e i grandi calciatori. È anche relativamente breve, però è importante. È importante perché è una rivincita, un motivo d'orgoglio, un modo per dire "ci siamo anche noi". Perché dovete sapere che in Umbria, ci sono essenzialmente solo due squadre: il Perugia e la Ternana, che sono le squadre dei due capoluoghi di provincia. C'è anche un'altra compagine però, il Foligno. Qua andiamo veramente nel calcio dilettantistico. Fondata nel 1928, questa squadra non ha praticamente mai conosciuto il professionismo ed ha sempre subito un complesso di inferiorità verso le due big del calcio umbro. Le storie, la storia, a volte cambia ed è questo il bello; perché se dopo quasi 80 anni in cui non hai combinato nulla, sfiori la promozione in Serie B, la storia cambia, eccome.

Nella stagione 2006/2007 il Foligno vince il Girone B della Serie C2 e viene dunque promosso in C1, dove avrebbe avuto la compagnia sia del Perugia che della Ternana. Solo le Fere, però, sono nello stesso girone dei Falchetti. Finiscono quarti, accedendo ai play-off che avrebbero decretato la promozione in Serie B, dove il Foligno non era mai arrivato. Nelle semifinali l'avversario è il Cittadella. La partita d'andata giocata in casa all'Enzo Blasone finisce 1-0 e i tifosi del Foligno cominciamo a sognare una prima, storica ed insperata qualificazione in Serie B, nonostante ci sarebbe dovuta essere ancora la finale. I sogni di gloria si infrangono al ritorno: al Tombolato il Cittadella ribalta tutto e vince 2-0. Batterà anche la Cremonese in finale ed andrà in Serie B. Ma non è questo l'importante. La storia bella l'aveva scritta il Foligno, riuscendo a raggiungere una semifinale play-off per andare in B, quando fino a tre anni prima militava ancora in Serie D. Finalmente i Falchetti avevano preso lo scettro del calcio umbro. La Ternana aveva concluso il campionato con un deludente 13° posto, mentre anche il Perugia aveva raggiunto le semifinali play-off nell'altro girone. Ma da una squadra con un buon passato in Serie A è il minimo che si ci aspetta. Per il Foligno il discorso è diverso, perché grazie a quel risultato pareva potersi lanciare verso il calcio dei grandi. Invece non tutte le favole finiscono bene e se quell'anno terminò con le semifinali perse, quelli successivi regalarono solo dispiaceri. Ma nella stagione 2010/2011 arriva l'ultima gioia: nei play-out per non retrocedere in Lega Pro Seconda Divisione, l'avversario è la Ternana. I Falchetti riescono a domare le Fere e batterle con un 2-1 complessivo, costringendo i Rossoverdi alla retrocessione. Nelle due stagioni seguenti, però, arrivano due reclusioni di fila, che portano la squadra addirittura in Serie D. L'obiettivo è quello di tornare subito in Lega Pro 2, per poi provare ad acciuffare nuovamente la Lega Pro 1 e riprovarci ancora con la Serie B e poter finalmente entrare di diritto nella corsa a miglior squadra umbra. Dopo anni in cui la Ternana e il Perugia l'hanno fatta da padrone, un nuovo nome potrebbe insidiare la loro supremazia; sarebbe stupido fermarsi proprio quando il traguardo sembrava raggiunto. Con calma, pazienza e dedizione tutto è possibile. Poi, in una regione verde come l'Umbria, perdere la calma mi sembra proprio impossibile. 
Ah, ma allora è bella l'Umbria...



martedì 11 febbraio 2014

Capocannonieri della Coppa Campioni (1970-1974)


Mick Jones: 8 gol nel 1969/70 con la maglia del Leeds United. Nel primo turno sigla una tripletta al Lyn, segnando un gol anche al ritorno. Negli ottavi rifila due doppiette al Ferencvaros. Superati i quarti, si arrende al Celtic in semifinale.






Antonis Antoniadis: 10 gol nel 1970/71 con la maglia del Panathinaikos. Nel primo turno regola il Jeunesse con un gol all'andata e una quaterna al ritorno. Negli ottavi segna una volta all'andata e una al ritorno contro lo Slovan Bratislava. Nei quarti segna in casa dell'Everton un gol decisivo. In semifinale rifila un'altra doppietta alla Stella Rossa. In finale si arrende all'Ajax 2-0.
Antal Dunai: 5 gol nel 1971/72 con la maglia dell'Újpesti Dózsa. Nel primo turno segna un gol al Malmoe. Agli ottavi segna una volta in casa del Valencia e due volte nel ritorno. Nei quarti segna in casa del Celtic, non riuscendo ad evitare l'eliminazione.







Lou Macari: 5 gol nel 1971/72 con la maglia del Celtic. Nel primo turno segna in casa del Boldklubben. Negli ottavi mette a segno una doppietta contro lo Sliema Wanderers. Nei quarti segna sia all'andata che al ritorno un gol contro l'Ujpest. In semifinale viene eliminato ai rigori dall'Inter.
Sylvester Takac: 5 gol nel 1971/72 con la maglia dello Standard Liegi. Segna due volte al Linfield nel primo turno. Mette a segno una doppietta contro il CSKA Mosca negli ottavi. Segna un gol all'Inter nei quarti, ma viene eliminato.
Gerd Mueller: 12 gol nel 1972/73 con la maglia del Bayern Monaco. Nel primo turno segna un gol all'andata e due al ritorno al Galatasaray. Negli ottavi mette a segno cinque gol contro l'Omonia, siglando due reti anche nel ritorno. Segna una doppietta all'Ajax nei quarti, ma viene eliminato.

8 gol nel 1973/74 con il Bayern Monaco. Nel primo turno ne mette due al Åtvidaberg. Negli ottavi segna due gol alla Dynamo Dresden. Ai quarti un altro al CKSA Sofia. In semifinale segna un gol all'Ujpest. Nella ripetizione della finale contro l'Atletico Madrid sigla una doppietta, facendo vincere la prima Coppa al Bayern.


Riassunto delle edizioni: Dopo i sussulti nordici di Celtic (1967) e Manchester United (1968), il calcio abbandona il Mediterraneo e l'ago della bilancia si sposta in Olanda. Dal 1970 al 1973 è un monologo Oranje, con l'Ajax che inanella tre successi consecutivi, preceduti dal trionfo del Feyenoord. È l'esaltazione del calcio totale olandese, che ha in Johan Cruijff il miglior artefice. Nel 1974 arriva la prima affermazione tedesca, grazie al Bayern Monaco.

Squadra simbolo: Ajax; da molti considerata la squadra più forte di sempre, gli olandesi riescono a raccogliere i frutti del lavoro iniziato a metà anni sessanta da Rinus Michels. Dall'1-4 subito dal Milan nel 1969 al 2-0 del 1972 contro l'Inter il passo è, incredibilmente breve. Tre affermazioni consecutive e una rosa piena di talenti hanno issato quell'Ajax tra le più grandi della storia.

Giocatore simbolo: Johan Cruijff; simbolo, sì, ma di cosa? Perché ridurre questo giocatore a simbolo di quattro anni è davvero un insulto; lui è stato simbolo di un'intera rivoluzione calcistica, è stato ed è uno dei più grandi simboli del calcio. In quegli anni nessuno pare potersi avvicinare al Profeta, che sembrava letteralmente sceso da chissà dove per insegnare il football a noi tutti. Nei tre successi dell'Ajax Cruijff è il migliore, il trascinatore di tutte le partite. In quegli anni arrivano anche tre Palloni d'oro, poi la scelta di migrare a Barcellona per seguire il mentore Michels. Poco male, continuerà a strabiliare il mondo anche in Spagna. Chapeau!

Albo d'oro:
1969/70: Feyenoord-Celtic 2-1 (Israel 31', Kindvall 117'; Gemmell 29'); 6 maggio 1970 San Siro, Milano;

1970/71: Ajax-Panathinaikos 2-0 (van Dijk 5', Haan 87'); 2 giugno 1971 Wembley, Londra;

1971/72: Ajax-Inter 2-0 (Cruijff 47', 78'); 31 maggio 1972 Feyenoord Stadion, Rotterdam;

1972/73: Ajax-Juventus 1-0 (Rep 4'); 30 maggio 1973 Stadio Stella Rossa, Belgrado;

1973/74: Bayern Monaco-Atletico Madrid 1-1 (Schwarzenbeck 120'; Aragones 114'); 15 maggio 1974 Heysel, Brussels
Ripetizione: Bayern Monaco-Atletico Madrid 4-0 (Hoeness 28', 83', Mueller 58', 71'); 17 maggio 1974 Heysel, Brussels