venerdì 31 maggio 2013

15 giorni per entrare nella storia


Cosa sono 15 giorni a dispetto di una carriera lunga 14 anni? Niente. Ma se in quel mezzo mese si giocano i Mondiali di calcio, allora la storia la cambia.
30 maggio 1962 - 17 giugno 1962, i Mondiali cileni verranno decisi in questi giorni. 
Il primo giorno si giocano quattro partite in contemporanea alle 15, ma ovviamente solo una di queste a Santiago, sede della finale: Cile-Svizzera 3-1. Il 17 giugno si gioca la finalissima a Santiago: Brasile-Cecoslovacchia.
Il Brasile era campione in carica, la Cecoslovacchia era tornata alla gloria dopo anni bui. In cabina di regia, l'uomo più rappresentativo di quella nazionale, Josef Masopust; in porta Vilian Schroif. Non un fenomeno come il suo compagno, ma semplicemente un portiere che ha vissuto due settimane magiche.
L'esordio della Cecoslovacchia è previsto per il 31 maggio, sulla loro strada la temibile Spagna allenata da Helenio Herrera. Del Sol, Gento, Martinez, Puskas, Suarez, ci provano tutti, ma Schroif non si fa mai superare. All'80' arriva la beffa firmata Stibranyi e la Cecoslovacchia inaugura bene il proprio Mondiale. La seconda partita è contro il meraviglioso Brasile di Pelé e Garrincha. Il primo si infortuna, il secondo non riesce ad incidere e i cechi ringraziano, strappando un ottimo pareggio. Con i giochi ormai chiusi, la nazionale di Vytlacil si concede un po' di "vacanza", lasciando la gloria al Messico, che dopo 13 partite e zero vittorie, trova i suoi primi due punti al Mondiale. Finisce 3-1 per i verdi, ma è la Cecoslovacchia ad andare ai quarti, dove ci saranno i terribili magiari di Albert e Tichy ad attenderla. Il copione è già visto, con l'Ungheria che non riesce a metterla dentro, complice l'ennesima giornata di grazia di Schrojf. A Tichy viene pure annullato un gol per un fuorigioco quantomeno dubbio, ma quel giorno doveva andare così. L'1-0 di Scherer al 13' reggerà fino alla fine, garantendo alla sua squadra la qualificazione alla semifinale. La Jugoslavia, magari più forte tecnicamente dei cechi, è stremata e stanca. La Cecoslovacchia lo sa bene e sfrutta la maggior freschezza per mettere sotto Skoblar e compagni, che a '10 dalla fine cedono definitivamente. L'eroe è ancora Scherer con una doppietta che sancisce il 3-1 finale: dopo 28 anni la Cecoslovacchia si giocherà nuovamente il titolo. Gran parte dei meriti vanno a super Willy Schrojf, autentico muro in mezzo ai pali. 
Ed eccoci arrivati alla finale, la partita più importante, quella che permetterà solo a pochi eletti di poter scrivere il proprio nome nella storia della competizione. Da una parte c'è Garrincha, graziato dalla FIFA dopo l'espulsione nella semifinale contro il Cile. Dall'altra Masopust e Schrojf: dal primo si attendono le giocate per sbloccare il risultato, dal secondo la partita della consacrazione. 
Masopust non ci mette molto a far capire ai brasiliani che la partita sarà tutt'altro che una passeggiata e già al 15' segna l'1-0. Il Brasile però non si arrende e inizia a giocare come sa. Un minuto dopo si è già dall'altra parte con Amarildo che calcia dalla linea di fondo e la mette proprio in quell'angolino non coperto da Schrojf: è finito l'incantesimo? 
Zito e Vavà confermano la partita-no del portiere ceco. Prima un'uscita a vuoto, poi un eccesso di confidenza da parte di Schrojf, spalancano la porta ai due brasiliani. Finisce 3-1 e il Brasile torna sul tetto del mondo, agganciando Italia e Uruguay a quota due titoli.
Per la Cecoslovacchia rimane solo il grande rimpianto di essere arrivata fino alla finale e di essersela giocata fino in fondo, riuscendo ad andare pure in vantaggio, prima di essere tradita dall'uomo che più aveva sorpreso.


A fine anno Josef Masopust verrà premiato con il Pallone d'Oro, quale miglior calciatore europeo, rendendo meno amaro il suo 1962.
Viliam Schrojf si ritirerà quattro anni più tardi, da perfetto sconosciuto, senza aver mai fatto grandi cose.
Ma verranno per sempre ricordati i suoi 15 giorni di gloria. Gli stessi che lo hanno fatto entrare nella storia, anche da perdente. 


lunedì 27 maggio 2013

Lui non aveva mira

Ero con Bobby Charlton, Denis Law e Ferenc Puskas, stavamo allenando un'academy in Australia. I giovani che allenavamo non lo rispettavano molto, prendendolo in giro per il suo peso e l'età. Decidemmo di far sfidare ai ragazzi uno dei coach a colpire la traversa 10 volte di fila; ovviamente scelsero il "vecchio ciccione". Law chiese ai ragazzi quante volte il "vecchio ciccione" avrebbe preso la traversa; molti dissero meno di 5. Io dissi 10. Il "vecchio ciccione" ne colpì 9 di fila. Per il decimo tiro, lanciò la palla in aria, palleggiò con le spalle e la testa, quindi con i tacchi e poi tirò una cannonata al volo sulla traversa. Rimasero tutti in silenzio. Uno dei bambini mi chiese chi fosse quell'uomo, io risposi: "To you, his name is Mr. Puskas".


George Best



Il Bayern fa 5


Nella coreografia fatta dai tifosi bavaresi, si vedevano quattro numeri: 74, 75, 76, 01. Cioè gli anni delle quattro edizioni vinte dal Bayern Monaco di Coppa Campioni/Champions League. In mezzo ben cinque sconfitte in finale. Sabato era arrivato il momento di pareggiare i conti. Anche perché sarebbe stata la terza finale persa in quattro anni, un vero e proprio record in negativo. 

Invece è arrivata la vittoria, che ha coronato la splendida stagione del Bayern di Jupp Heynckes. Una squadra capace di perdere solo tre partite da agosto ad oggi, dominando in lungo e in largo Bundesliga, Coppa di Germania e Champions League. 
Il Borussia Dortmund era un avversario ostico e non ha certamente demeritato, ma la maggiore esperienza dei già campioni di Germania ha avuto la meglio. Weindefeller è stato più volte chiamato in causa, rispondendo sempre presente, ma dovendosi arrendere a un Arjen Robben che sapeva di non poter più sbagliare. Al 60' l'olandese salta il portiere, per poi appoggiare indietro a Mandzukic. A pochi minuti dalla fine, dopo lo splendido invito di Ribery, salta Hummels e batte Weidenfeller con un diagonale tanto lento quanto decisivo. 2-1 per il Bayern Monaco e Champions League in tasca ai bavaresi. In mezzo il rigore di Gundogan procurato da Marco Reus, steso dal calcione di Dante che si sarebbe meritato il secondo giallo. Rizzoli ha chiuso un occhio e (forse) ha cambiato l'esito della partita. Ma poco importa, perché il Bayern era il più forte e l'ha dimostrato. Finalmente.
L'ha dimostrato anche Arjen Robben, finalmente decisivo nelle grandi occasioni. Dopo le finale perse nel 2010 e nel 2012, oltre al Mondiale in Sud Africa, l'ex Real Madrid si è messo in mostra: sia in negativo, con tutti i gol sbagliati, sia in positivo, con l'assist e il gol decisivo. Ma lui è fatto così, prendere o lasciare. E ai grandi campioni, si può perdonare tutto.




Jupp Heynckes, quindi, potrà ritirarsi con la seconda Champions League della sua lunga carriera, dopo quella del 1998 con il Real Madrid. Un altro record: solo lui, Ernst Happel, Ottmar Hitfield e Josè Mourinho hanno vinto la coppa con due squadre diverse.
Per il resto questa è una squadra magnifica, che si merita la vittoria, dopo tante delusioni in finale.
"74, 75, 76, 01, 13", il Bayern ha fatto 5!


sabato 18 maggio 2013

La classe del '92


Al Manchester United sono sempre stati bravi con i giovani. Lo è stato Sir Matt Busby, lo è stato (che brutto usare il passato) Sir Alex Ferguson. Tengo a precisare una cosa: loro due assieme sono stati più di 50 anni alla guida del Manchester, quindi due allenatori bastano.
Detto questo, i Busby Babes penso che siano la squadra più forte di sempre a livello giovanile. Vinsero cinque volte di fila la FA Youth Cup dal 1953 al 1957, segnando sempre almeno 4 gol in finale (doppia). Nel 1958, dopo aver ormai preso il loro posto in prima squadra già da anni, i Busby Babes diventano gli unici degni avversari di Di Stefano e Puskas per la lotta alla Coppa Campioni. Solo un evento extra-calcistico negherà loro (e gli appassionati) di sapere chi era veramente il più forte.
Andiamo quasi 40 anni avanti e arriviamo al 1992. Il Manchester United torna a vincere la FA Youth Cup (l'ultima arrivò nel 1964, con un nuovo ciclo di Busby Babes). Di quella squadra facevano parte giocatori del calibro di Ryan Giggs, Paul Scholes, David Beckham, Nicky Butt e i fratelli Neville, Gary e Phil. Negli anni seguenti, questi furono giocatori importanti per il dominio nella Premier League. 



Di tutti questi giocatori, il primo a debuttare tra i professionisti fu Ryan Giggs, il 2 marzo del 1991. Nonostante avesse ormai un posto in prima squadra, continuò a giocare con le giovanili (non aveva neanche 19 anni del resto). Nel 1992 debuttarono Gary Neville, David Beckham e Nicky Butt. Due anni dopo toccò a Paul Scholes (non uno dei preferiti di Sir Alex... all'epoca) e Phil Neville. Ormai tutti avevano avuto il loro primo assaggio di calcio professionistico, da cui non si staccarono più.
Con questi giocatori, il Manchester United divenne una delle squadre più forti d'Europa, tornando alla gloria anche in Inghilterra dopo anni d'oblio. Insieme alla classe del '92, Ferguson poteva contare su Cantona, Keane, Schmeichel, Bruce e altri ancora. Dal 1993 al 1999 lo United vinse: 5 Premier League, 3 FA Cup (quelle dei grandi), 4 Community Shield, la Champions League e la Coppa Intercontinentale. Un dominio assoluto, dovuto anche a questa nuova generazione.
Negli anni 2000 la musica non cambiò, ma nel 2003 Beckham litigò con Ferguson e a fine stagione passerà al Real Madrid. L'anno dopo è il momento di Nicky Butt, che passa al Newcastle United. Mentre nel 2005 Phil Neville si trasferisce all'Everton, diventandone una bandiera. Ryan Giggs, Paul Scholes e Gary Neville faranno tutta la loro carriera al Manchester United. L'ultimo ne è diventato pure capitano nel 2005, dopo l'addio di Roy Keane, fino al ritiro nel 2011.
Appunto, ritiro. Nel 2011 si ritirò anche Nicky Butt, dopo una breve parentesi ad Hong Kong. Pochi giorni fa la notizia che Beckham appenderà gli scarpini al chiodo al termine di questa stagione, dopo una carriera ventennale. Phil Neville lascerà l'Everton e pare anche lui intenzionato al ritiro. Paul Scholes seguirà il suo unico allenatore, Sir Alex Ferguson, nella scelta del ritiro. Proprio quell'allenatore che non vedeva in lui le giuste qualità per diventare un campione. Lo stesso che nel suo discorso d'addio all'Old Trafford lo ha definito come "uno dei più grandi giocatori che questo club abbia mai avuto". È proprio vero che a volte la prima impressione è quella sbagliata.
Quindi, incredibile ma vero, l'ultimo dei giocatori rimasti è il più vecchio, quello che debuttò per primo: l'unico ed inimitabile Ryan Giggs. Ma anche se con il tempo questi giocatori diventeranno vecchi, nessuno si scorderà mai di quella mitica classe del '92, una delle squadra più forti d'Inghilterra.

Match d'addio di Gary Neville contro la Juventus:
Sir Alex Ferguson, Sir Ryan Giggs, Nicky Butt, David Beckham, Gary Neville, Phil Neville, Paul Scholes

giovedì 16 maggio 2013

Beckham si ritira


È stato il mio primo idolo e vederlo ritirare mi lascia un po' con l'amaro in bocca. Sapere che ha 38 anni, mi fa capire quanto tempo sia passato. Ho pensato "Ma come, il ragazzo biondo che faceva sbavare le ragazza di tutta l'Inghilterra, è così vecchio?". Sarà anche invecchiato, ma da quel che so, le ragazze sbavano sempre per Becks.

Non solo calcio. Anche Olimpiadi per Beckham

A 38 anni è una cosa praticamente scontata, ma il ritiro di Beckham fa comunque scalpore, perché se è vero che lo Spice Boy è prossimo alla quarantina, bisogna dire che era appena tornato in Europa, riassaporando la Champions League con il PSG. Alla fine i parigini sono stati eliminati dal Barcellona, ma non hanno demeritato, anzi.
La carriera di Beckham è stata ricca di successi, dall'Inghilterra alla Spagna, dagli States alla Francia. In queste quattro nazioni ha vinto il titolo nazionale, per un totale di dieci campionati.
Il suo nome rimarrà per sempre legato al Manchester United, dove ha indossato la mitica casacca numero 7: quella resa famosa da Best, passando da Robson e Cantona. 
Il suo trionfo più importante è stata la Champions League del 1999, vinta contro il Bayern Monaco a tempo scaduto. I Red Devils rimontarono con due azioni da calcio d'angolo. Indovinate chi andò a battere quei due corner?
"Beckham, into Sheringham... and Solskjær has won it!"
Buona fortuna, David!




mercoledì 15 maggio 2013

Fine di un'era

Era: "Lungo arco di tempo segnato da un avvenimento storico fondamentale". Forse, spesso viene usata a sproposito questa parola, ma stavolta è proprio il caso di dirlo: è finita un'era.
È arrivato il momento anche per me, dopo una settimana di riflessioni, di opinioni e di confronti, di parlare dell'evento che ha cambiato per sempre il calcio moderno. Un evento che nessuno si aspettava. Non ora, non dopo una Premier League vinta, praticamente, in scioltezza. Non dopo aver dichiarato, qualche settimana fa, "Abbiamo i mezzi economici per fare un grande acquisto". Ma alla fine, al Manchester United, è arrivata una perdita, la più importante. Più di Rooney o di van Persie, più del ritiro (che era solo da ufficializzare) di Scholes o di uno clamoroso di Giggs. Si è ritirato il Boss. L'uomo che ha plasmato una squadra, rinnovandosi sempre, fino a diventare una leggenda del calcio. 
Sir Alexander Chapman Ferguson aveva ormai la seconda residenza sui campi della Premier League, in particolare all'Old Trafford. A novembre sarebbero stati 27 anni sempre sulla stessa panchina, quella del Manchester United. 
Per chi fa finta di intendersi di calcio, potrebbe essere sembrata una passeggiata l'avventura di Sir Alex al club inglese. Invece no. 




Facciamo un passo indietro e torniamo al 6 novembre 1986. Ferguson viene ufficializzato come nuovo manager del Manchester United, sostituendo Ron Atkinson. L'esordio fu l'8 novembre in trasferta contro l'Oxford United. Il Manchester perse 2-0 e venne superato dal Chelsea in classifica. Una classifica che diceva: posizione 20, punti 12. Il Newcastle, ultimo, era solo due punti indietro. La situazione era drammatica, soprattutto per un club che aveva una Coppa Campioni in bacheca. Ma non si vive di ricordi e il titolo nazionale mancava ormai da 19 anni. Un'eternità.

Piano piano, però, Ferguson riuscì a farsi valere come allenatore di una "big". Dopo i tre titoli scozzesi e la Coppa delle Coppe con l'Aberdeen, comunque, l'undicesimo posto finale, seppur ottenuto con una bella rimonta, non poteva di certo soddisfare il nuovo tecnico, che puntava a traguardi ben più importanti. Cosa che non riuscì ad ottenere subito, rischiando addirittura l'esonero. Nel 1988 arrivò un secondo posto contro il Liverpool e l'anno dopo di nuovo un undicesimo posto. Nel 1990, dunque, la dirigenza stava cominciando a spazientirsi. Voleva tornare a vincere e la partita del terzo turno di FA Cup del 7 gennaio contro il Nottingham Forest avrebbe segnato le sorti della carriera di Sir Alex. E, in futuro, di tutto il calcio.
Dentro o fuori, è questo il bello dell'eliminazione diretta. Il Manchester United era addirittura quindicesimo quando andò a far visita alla squadra di Brian Clough. Finì 1-0 grazie al gol di Mark Robin. Lo United poi proseguì il suo cammino sino alla finale, dove ebbe la meglio sul Crystal Palace in due round. Finalmente era arrivato il primo titolo, dopo tre anni e mezzo. Dentro o fuori: per Ferguson, fu l'inizio della leggenda. 
In campionato finiranno tredicesimi, solo sei punti sopra la retrocessione. Ma poco importa, perché era arrivato un trofeo e l'allenatore di Glasgow ricevette fiducia.


Nel 1991 lo United arrivò sesto, ma vinse la Coppa delle Coppe contro il Barcellona. Nel 1992 finì secondo dietro il Leeds United, portandosi a casa la Coppa di Lega. Terza stagione consecutiva con almeno un trofeo: era stata fatta la scelta giusta.
Nel 1992, il calcio inglese cambia: addio First Division, benvenuta Premier League. È l'inizio del dominio!
Arriva Eric Cantona all'Old Trafford e il nuovo campionato parla quattro volte su cinque Red Devils, che tornano al titolo nel 1993 dopo ben 26 anni d'attesa. Da Best, Charlton e Law a Cantona, Giggs e Hughes. Da Busby a Ferguson. Giggs, premiato come miglior giovane nel 1993, diventerà una bandiera dello United. Fu l'inizio di una nuova era. 
Ma la storia c'insegna, che l'inizio di qualcosa, segna la fine di qualcos'altro. E per un Manchester United di nuovo campione, arriva un Nottingham Forest ultimo, con Brian Clough che lascia il calcio. Ma questa è un'altra storia.
Forse il miglior acquisto di Sir Alex

Nel 1994 arriva il primo double Campionato-Coppa nella storia della società, che viene sempre più premiata nella scelta del tecnico. Fino al 1999, un anno storico nella storia del calcio inglese. Il 16 maggio lo United vince la Premier. Il 22 la FA Cup contro il Newcastle. Il 26 c'è in programma la finale di Champions League contro il Bayern Monaco al Camp Nou di Barcellona. Al 91' il Bayern stava vincendo 1-0. A fine partita, pochi minuti dopo, il risultato dirà 2-1 per il Manchester United. Sheringham e Solskjaer mandarono in visibilio i tifosi dei Red Devils, consegnando per la seconda volta la Coppa al Manchester United, dopo la vittoria del 1968 grazie a Matt Busby. Sir Matt era nato proprio il 26 maggio di 90 anni prima: un segno del destino. Ferguson, ormai, era destinato a scrivere la storia del club proprio come fece Sir Matt Busby.

Festeggiamenti dopo la vittoria sul Bayern Monaco

Ma è riuscito pure a far meglio. Il 19 dicembre 2010, infatti, ha raggiunto l'incredibile traguardo di 8811 giorni alla guida del club, battendo il primato di Busby. 
I suoi (quasi) 27 anni alla guida di un club, sono secondi solo ai 44 di Guy Roux sulla panchina dell'Auxerre. Ma è un dettaglio da poco, per quello che viene definito il miglior manager della storia del calcio. Sir Alex si ritirerà con 38 trofei in 26 anni alla guida dei Red Devils, tra cui spiccano: 13 Premier League, 2 Champions League, 5 FA Cup, 4 Coppe di Lega inglese e una Coppa delle Coppe. Un palmares mostruoso!

Il traguardo a cui Sir Alex puntava era uno: superare il record di 18 titoli inglesi del Liverpool. Nel 2009 li raggiunge. Nel 2011 arrivò a quota 19. Adesso è a 20 il bottino del Manchester United e 13 di questi li deve a questo magnifico allenatore scozzese.

Quando lessi la notizia del suo ritiro, pensavo fosse un'altra balla, solo una storia inventata dai giornali per vendere. Io non ci badai molto e andai a letto. Il giorno dopo, la notizia fu resa ufficiale. Non potevo crederci, perché pensavo che Sir Alex avrebbe continuato per altri 10 anni. Invece no, ormai aveva preso la sua decisione. Ha avuto anche il tempo di pensare al suo sostituto: David Moyes. Quel Moyes che lo scorso anno, con il suo Everton, bloccò lo United sul 4-4, permettendo al City di iniziare la rimonta che avrebbe poi condotto la squadra di Mancini al titolo inglese. Titolo che è stato subito riportato a "casa": sulle ventuno edizione sin qui disputate, come già detto, per ben 13 volte il Manchester United ha portato a casa il trofeo. Un dominio assoluto.


Toccherà a Moyes, adesso, continuare a vincere. Ma raccogliere l'eredità di Sir Alex, sarà tutt'altro che facile. La dirigenza lo sa bene, per questo ha fatto firmare al tecnico di Glasgow (sì, pure lui) un contratto di ben sei anni. Per tutti i Red Devils, il consiglio è di non pensare a Moyes come il sostituto di Ferguson, ma più semplicemente, come un nuovo allenatore, molto preparato e in cerca di successi. Perché sostituire questo monumento del calcio, è francamente impossibile. Un allenatore che prima è diventato il miglior in Inghilterra, poi in Europa, poi ha superato Sir Matt, fino a diventare il migliore di sempre. Grazie, Sir Alex!
Io ti ricorderò sempre così
Quello che avevo da dire, l'ho detto. Ho semplicemente scritto un breve tributo a questa leggenda del calcio.
"The impossible dream, made possible by Sir Alex Ferguson."

domenica 12 maggio 2013

Sarà tutto diverso


Non è ancora l'ora, per me, di parlare di quello di cui tutti si stanno interessando negli ultimi giorni. Ci sarà tempo, perché è qualcosa che andrà oltre il semplice descrivere un ritiro.
Vorrei dirvi, però, che al Manchester United sarà tutto un po' diverso dalla prossima stagione. Oltre a Lui, si ritireranno dal loro ruolo attuale, anche Paul Scholes, Martin Ferguson (il capo degli scout, nonché Suo fratello), David Gill (CEO) e Mike Phelan (assistente del Manager). Sarà tutto diverso.
A David Moyes toccherà il compito di continuare quel che Lui gli ha lasciato in eredità. Sarà difficilissimo.
Io ancora non ci credo...


sabato 11 maggio 2013

Lampard nella leggenda


L'Aston Villa, dopo aver fatto un campionato da paura (in senso negativo), è in buona forma e si è allontanata dalla zona calda della classifica. La matematica non può ancora far festeggiare gli uomini di Lambert, ma la salvezza è ormai ad un passo. Il Chelsea, dal canto suo, vuole a tutti i costi qualificarsi in Champions League. Questi erano i motivi d'interesse per Aston Villa-Chelsea.
Benteke mette subito le cose a favore dei Villans e sul finire di primo tempo Ramires si fa espellere. Vantaggio di gol e di uomini per i padroni di casa, che intravedono la salvezza. Ma il Chelsea non ci sta e Benteke li aiuta ricevendo anch'egli il rosso. 10 vs 10 e partita riaperta. Ci pensa ancora Frank Lampard a pareggiare i conti, con il suo gol numero 202 con la maglia dei Blues. Il pareggio sembra tenere fino alla fine, ma poi è nuovamente il centrocampista inglese a far gol su assist di Hazard. È un gol storico: sono 203 con la maglia del Chelsea, superato Bobby Tambling. Lampard viene letteralmente travolto da compagni e tifosi: è una festa unica, anche con la mamma, a cui viene dedicato ogni gol. 
Chelsea in Champions e Lampard fa il record. Per l'Aston Villa, invece, la salvezza è comunque a portata di mano.

Lampard festeggia il gol vittoria contro l'Aston Villa, il numero 203 con il Chelsea

La battaglia di Bordeaux


Domenica 12 giugno 1938, ore 17, Parc Lescure di Bordeaux. Quarti di finale di Coppa del Mondo, di fronte due bellissima realtà del calcio di allora: il Brasile tutto fantasia di Pimenta e la potente Cecoslovacchia di Vaclav Meissner. I sudamericani, dopo la delusione del Mondiale precedente, dove erano stati eliminati agli ottavi dalla Spagna, volevano far vedere al mondo intero che potevano dire la loro anche in ambito mondiale. La Cecoslovacchia, finalista della precedente edizione, voleva confermarsi ancora ad altissimi livelli.
Le due stelle delle squadre si sarebbero incontrate molto da vicino: da una parte il micidiale Leonidas, dall'altra il portierone ceco Planicka, uno dei migliori interpreti nel suo ruolo. I presupposti per una grande partita c'erano tutti. Chi avrebbe vinto tra il calcio di scuola danubiana ceco e la squadra tutta individualità di Pimenta?
Bordeaux è una città in cui si pratica tanto il rugby e tra gli spettatori di quella partita c'erano anche dei rugbisti, arrivati allo stadio incuriositi da questo "nuovo" gioco e dalle stelle brasiliane. Ma persino i giocatori di uno degli sport più violenti del mondo rimasero impressionati dalla violenza che cechi e brasiliani misero in campo. La partita finirà 1-1, con i gol di Leonidas e Nejedly, ma non furono questi gli highlights del match. Infatti ci furono ben tre espulsioni (in tempi in cui per ricevere un giallo dovevi rompere la tibia al tuo avversario) e una lista di infortunati da mettere i brividi: Planicka si ruppe il braccio destro, Nejedly si frattura la gamba destra, Kostalek un trauma allo stomaco e Leonidas e Peracio non ne escono in condizioni migliori. Se questo non bastasse, tutti i panchinari si unirono in una maxi rissa. 
Siccome i rigori non esistevano ancora, fu necessario un rematch e la FIFA, per evitare altri disordini, impose che in campo ci dovessero essere solo i 22 giocatori: tutti gli altri in tribuna.
Finì 2-1 per il Brasile e segnò ancora Leonidas. Quello stesso Leonidas non ancora al 100% per la semifinale contro l'Italia e dunque tenuto a riposo, in vista di una finale che Pimenta sembrava avere già in tasca. Colaussi e Meazza avevano altri programmi. Ma questa è un'altra storia.
Alla storia resta, però, la battaglia di Bordeaux: una delle partita più violente della storia del calcio.


domenica 5 maggio 2013

L'Austria si tinge d'azzurro


Quanto possa cambiare arrivare terzi o quarti ad un Mondiale, non lo so. Penso proprio poco, perché la finalina è più che altro un'amichevole, giocata tra due squadre deluse per non essere riuscite ad arrivare in finale. Quindi l'agonismo c'è lo stesso, ma tutti aspettano la finale, quella vera.
La prima finale per il terzo-quarto posto, però, è stata importante ed è giusto ricordarla. Era il 7 giugno1934, si giocava il Mondiale italiano e la sfida vedeva contrapposte le due squadre che persero rispettivamente contro Italia (1-0) e Cecoslovacchia (3-1): Austria e Germania. E questo era un problema, perché sia la squadra di Meisl che quella di Nerz avevano la divisa bianca, solo quella. Mica come adesso, che c'è pure la seconda divisa per il portiere. Ma fu trovata, ovviamente, una soluzione. Quel 7 giugno si giocava a Napoli, allo stadio Ascarelli, e il popolo napoletano acconsentì a prestare le sue adorate maglie azzurre al Wundertea m austriaco. I presenti erano 7000 e facevano tutti il tifo per l'Austria.
Le cose si misero subito male per Sindelar e compagni, però. Dopo pochi secondi Lehrer segnò il primo gol del suo Mondiale, mentre Conen raddoppiò al 15'. Horvath provò a riaprirla, ma segnò di nuovo Lehrer, facendo andare le squadre all'intervallo sul punteggio di 3-1 per i tedeschi. Nella ripresa la squadra di Meisl provò a reagire, riuscendo a trovare il gol con Sesta al 63'. Gli austriaci ci provarono, ma ormai i tedeschi avevano fatto loro la partita. 
Vince la Germania 3-2, che chiude terza il Mondiale italiano. In seguito arriveranno altri tre gradini bassi del podio. Per l'Austria, quello è il secondo risultato migliore in assoluto, battuto poi dal terzo posto del 1954.
Quattro anni dopo, l'Austria era nuovamente tra le favorite per la vittoria finale, ispirata ancora da Sindelar. Ma Hitler aveva programmi diversi per quella mitica squadra...


venerdì 3 maggio 2013

Il Benfica fa il bis


La prossima finale di Europa League, in programma il 15 maggio all'Amsterdam ArenA, vedrà opposti gli inglesi del Chelsea e i portoghesi del Benfica. Uno strano intreccio, in cui si daranno battaglia una squadra di Londra, sede della finale di Champions League 2012/13, e una squadra di Lisbona, sede della finale di Champions League 2013/14.
Ma lasciamo da parte questi strane statistiche, per parlare di calcio giocato. Ovviamente io non prevedo il futuro e non so chi vincerà la prossima Europa League, ma conosco il passato. E so che l'Amsterdam ArenA evoca bei ricordi alla squadra della capitale lusitana.
Era il 2  maggio 1962, finale di Coppa Campioni. Di fronte le uniche due squadre che fino ad allora erano riuscite a vincere: il Real Madrid, vincitore delle prime cinque edizioni, e il Benfica, vincitore della sesta nel 1961. Furono proprio i lusitani ad interrompere lo strapotere del Real, eliminato agli ottavi dai rivali storici del Barcellona, che poi arriveranno in finale, dove verranno sconfitti dal Benfica di Bela Guttmann. 
Benfica-Real Madrid, dunque, era una sorta di sparti acque: i portoghesi volevano emulare l'impresa del Madrid, le Merengues volevano far capire che erano ancora loro i più forti. Quella era la partita giusta per mettere in chiaro le cose.


Il Real non ci mise molto a far capire che voleva tornare in Spagna con la sesta Coppa Campioni: dopo 23' Ferenc Puskas aveva già segnato due gol. Riuscirà anche a fare il terzo al 38', ma in mezzo c'era stata la rimonta firmata Aguas e Cavem. 2-3 all'intervallo per gli spagnoli, ma nella ripresa la musica cambia. Salgono in cattedra i pezzi forti del Benfica: al 51' Mario Coluna pareggia, poi Eusebio fa doppietta fra il 65' e il 68'. Il Benfica stravince 5-3 contro i pluricampioni del Real Madrid.
A fine partita Eusebio e Di Stefano si scambiano la maglia, un gesto che simboleggia, di fatto, un passaggio di testimone. Il due volte Pallone d'Oro lascia il trono di migliore al futuro capocannoniere di Inghilterra '66.
Bela Guttmann lascia il Benfica, non prima di lanciare la sua maledizione: "Da qui a cento anni nessuna squadra portoghese sarà due volte campione d'Europa ed il Benfica senza di me non vincerà mai una Coppa dei Campioni". Cinque finali perse dai lusitani sono la conferma che l'austro-ungherese ci ha visto lungo.
Quella sarà l'ultima Coppa dei Campioni del Benfica. Il Real ne vincerà altre quattro, ma quella sconfitta in finale, con tanto di tripletta di Puskas, pesò molto.
2 maggio 1962-15 maggio 2013. Competizioni ed avversari diversi, ma stesso stadio e stesso obbiettivo per il Benfica: vincere.