venerdì 26 luglio 2013

La Germania spezza sogni, parte uno: Aranycsapat


Ci sono delle date che difficilmente verranno scordate, perché hanno scritto la storia. La storia del calcio. Ci sono il 1954 e il 1974. Ma c'è anche il 1938, dove, oltre che la storia calcistica, venne anche cambiata la Storia, quella con la S maiuscola. Parlando però solo di calcio, la nazione che unisce questi anni è la Germania. Una Nazionale in grado di spezzare i sogni di chi avrebbe di sicuro meritato un posto nella storia, nel 1954 e nel 1974; una nazione in grado di privare della libertà, nel 1938.


Partiamo dal 1954, da quel 4 luglio, in quell'estate svizzera. Si tornava a disputare la fase finale di un Campionato del Mondo in Europa dopo sedici anni, cioè dopo Francia 1938. I campioni in carica erano gli uruguaiani, che si spartivano equamente con l'Italia le quattro edizioni sin lì disputate. Ma gli addetti ai lavori non avevano dubbi, un nuovo nome sarebbe stato scritto nell'albo d'oro: quello dell'Ungheria. 
La storia della Nazionale Ungherese, o meglio la leggenda, inizia nel 1950. Il 4 giugno battono la Polonia a Varsavia per 5-2. Non perderanno più nessuna partita fino al 1954, umiliando i maestri inglesi nel tempio di Wembley, e poi ancora nel rematch in Ungheria. 6-3 e 7-1 i risultati: il calcio aveva trovato dei nuovi padroni. Nel 1952 arrivò pure il titolo olimpico ad Helsinki. Era una squadra che non conosceva la parola sconfitta e che dominava il mondo, esportando una nuova filosofia del calcio. Era la squadra di Gusztav Sebes in panchina, di Grosics in porta, di capitan Bozsik, di Hidegkuti, Toth, Czibor, Kocsis ed ovviamente del genio del pallone Ferenc Puskas. Non un semplice calciatore, ma uno di quelli che passano sul terreno di gioco una volta sì e altre mille no, uno di quei giocatori destinati a cambiare la storia di questo sport. Il suo score in Nazionale è impressionante: 85 partite e 84 gol. Ma c'è un suo compagno che è riuscito a fare addirittura meglio. Sandor Kocsis scese 68 volte in campo con i magiari, segnando 75 reti. Più di un gol a partita! Era una squadra perfetta, che attendeva questa Coppa del Mondo per diventare una leggenda e lasciare un'impronta indelebile nella storia del calcio. Era la squadra che cambiò per sempre il calcio, anticipando di vent'anni il calcio totale degli olandesi. Era l'Aranycsapat, la Squadra d'oro, la più bella espressione corale di calcio dell'epoca. Era una delizia per gli occhi, un inno alla gioia. Ma soprattutto era una squadra appoggiata dal governo, una squadra con il compito di rendere bella l'immagine dell'Ungheria. La vittoria del Mondiale avrebbe sicuramente contribuito a renderla migliore.
Le premesse c'erano tutte per poter succedere ad Uruguay e Italia. Il Mondiale fu strano, perché nei gironi vennero giocate solo due partite, seppur essi fossero composti da quattro squadre. Infatti le due teste di serie non si incontrarono durante i gironi. I Magiari vennero messi come teste di serie, insieme alla Turchia, con Germania Ovest e Corea del Sud. La prima partita finì 9-0 contro i mal capitati asiatici. La seconda terminò 8-3 contro una Germania Ovest imbottita di riserve, che mirarono ad un solo obbiettivo: far male a Puskas. Riuscirono a far uscire dolorante il capitano e leader ungherese, che fu costretto a salutare anzitempo il Mondiale. Salvo poi farsi trovare pronto per la finalissima. Ma anche privi del loro condottiero, i magiari riuscirono a sconfiggere 4-2 il Brasile nei quarti di finale. Con lo stesso punteggio superarono l'Uruguay in semifinale dopo i tempi supplementari, grazie a due reti di Kocsis nel finale. "Testa d'oro" era già arrivato a quota 11 reti, frutto di due doppiette, una tripletta ed una quaterna, che non solo lo proiettarono in cima alla classifica cannonieri di quel Mondiale, ma anche di quella all-time. Quindi, in assenza di capitan Puskas, fu Kocsis a trascinare la squadra fino alla finale, dove li aspettava la Germania, desiderosao di vendetta dopo l'incredibile figuraccia del girone.
In questo momento l'Ungheria è a quota 31 risultati utili consecutivi. Non perdono da quattro anni e nessuno pare avere le carte in regola per poter scalfire questa corazzata. Il sogno di diventare campioni si sta per realizzare, mancano solo 90'. Ma le sorprese sono dietro l'angolo.
Il Wankdorfstadion di Berna e i suoi 60000 mila spettatori, fanno da cornice a quella che deve essere una pura formalità per Puskas (tornato in extremis) e compagni. Battere la Germania sarà la cosa più semplice, la parte più difficile è scegliere come festeggiare. Dopo 8' i magiari sono già avanti per 2-0, grazie a Puskas e Czibor. Sembra fatta: finalmente la squadra più forte del mondo potrà vantarsi di essere campione del mondo. Ma è solo un'illusione. La realtà è che da quel momento i tedeschi iniziano a giocare, a fare sul serio, a correre il doppio. Al 18' Morlock e Rahn riportano il risultato in parità. Ma l'Ungheria non ci sta, sa di essere più forte e lo dimostra sul campo. Un gol annullato e un rigore non convalidato. "Ma come? Perché?", protesta la squadra di Sebes con l'arbitro Ling. È il segnale che il sogno si sta trasformando in incubo, che la partita della vita sarà la loro più grande disfatta. Diventano sempre più spenti e senza forze, fisiche e mentali. I tedeschi, invece, corrono come se fossero appena entrati. L'Ungheria forse nemmeno se ne accorge, ma Rahn fa doppietta al minuto 84 e completa la rimonta. I minuti passano inesorabili e l'arbitro fischia la fine, facendo entrare nella storia... facendo entrare nella storia l'Ungheria! Sì, perché magari non avranno vinto quella partita, non avranno vinto il titolo mondiale, saranno anche stati battuti dalla Germania Ovest in quella finale. Ma la storia l'avevano fatta gli undici gol di Kocsis, la leadership di Puskas, le giocate di Czibor, l'innovazione tattica di Hidegkuti, il ruolo rivoluzionato del portiere con Grosics. E soprattutto l'aveva fatta Sebes, costruendo una squadra praticamente imbattibile. Poco importa se poi ci saranno sospetti (pesanti) di doping sulla Germania, con i giocatori gialli e nauseabondi a fine partita e nei giorni successivi. Non importa a nessuno, anche perché la Coppa è nella bacheca tedesca, mentre alla mitica Ungheria resta un pugno di mosche. Un secondo posto che vale veramente poco arrivati fino a quel punto. Ma la consapevolezza di aver reinventato il calcio, portandolo ad altri livelli. Prima strabiliando il mondo in prima persona, poi mettendo le basi con il modulo usato dal Brasile bi-campione del mondo nelle successive due edizioni. Fino ad arrivare a vent'anni dopo, quando gli olandesi eleveranno ulteriormente le idee magiare, sviluppando il calcio totale. Altro bellissimo metodo di gioco, con lo stesso risultato. L'Olanda come l'Ungheria, Cruijff come Puskas. Ma questa è un'altra storia. Questo è il prossimo episodio della Germania spezza sogni.
Ma i sogni erano stati spezzati anche ai calciatori, "colpevoli" di non aver dato lustro all'immagine ungherese. La Rivoluzione del 1956 cambierà per sempre la Storia, quella con la S maiuscola. I calciatori scapparono via, lasciando solo il ricordo di quella mitica squadra. Czibor e Kocsis si riscoprirono grandi nel Barcellona, prima di perdere un'altra finale (quella di Coppa Campione del 1961 contro il Benfica) in modo beffardo. Sandor Kocsis non si riprese più da questa ennesima delusione e si suicidò nel 1979. Andò meglio a Ferenc Puskas, bandiera del Real Madrid, che insieme a Di Stefano formò una delle più grandi coppie d'attacco di sempre. Vinse tre Coppe Campioni, ma il rimpianto per non aver vinto quella partita del 1954 contro la Germania se l'è portato dentro la tomba. Anche se in realtà si prese la sua rivincita, segnando quattro gol all'Eintracht Francoforte nella finale di Coppa Campioni del 1960: è a tutt'oggi un record. Ma poco importa, perché Puskas e compagni erano già entrati nella storia del calcio. Anche nella storia dei Mondiali, perché forse quell'Ungheria era troppo bella per vincere quel titolo, e ha lasciato la gloria ad altri. Entrando comunque di diritto nella leggenda.
Aranycsapat: molto più di una squadra, un sogno nazionale. Un sogno spezzato dalla Germania.

giovedì 25 luglio 2013

Il solito british humor




John Henry non è una persona qualunque, è il proprietario del Liverpool. E in quanto proprietario, controlla tutti i soldi che girano attorno al club. Anche i 40 milioni di sterline offerti dall'Arsenal per Luis Suarez. Ma non è questa la vera notizia, non è nemmeno la vera cifra. Infatti nel contratto dell'uruguaiano c'è una clausola che dice che in caso di offerte superiori ai 40 milioni di sterline, Suarez debba essere immediatamente informato, in modo da far prendere atto al calciatore che c'è una squadra interessata a lui. Fin qui tutto abbastanza normale. Il fatto è che l'Arsenal ha preso alla lettera la clausola, e ha offerto 40.000.001 di sterline. Solo una sterlina in più, in modo da costringere il Liverpool ad informare Suarez dell'offerta. Il proprietario del Liverpool non l'ha presa proprio bene e sul suo account Twitter ha scritto "Ma cosa si fumano giù all'Emirates?". La risposta non l'avremo mai. Intanto l'Arsenal ha ottenuto quello che voleva, è la squadra più vicina al giocatore e i Reds rischiano seriamente di perdere il loro giocatore più forte. 
Su Twitter, ovviamente, i tifosi si sono scatenati con varie battute, prendendo sul ridere l'accaduto. Un po' come avrebbe dovuto fare Henry: del resto, ti pigli 40 milioni, e se hai voglia, anche un caffè. E se non riesce a prenderla sul ridere nemmeno così, vai all'Emirates e chiedi di offrirti quello che si fumano. Magari sareste tutti più contenti.

giovedì 18 luglio 2013

Most naturally gifted player


Si possono fare tante classifica e mettere ai primi posti tanti giocatori diversi, etichettandoli come "migliori di sempre", però non si arriverà mai ad una scelta che metta d'accordo tutti. La sfida più nota è quella tra Pelé e Maradona. Io penso che sia Di Stefano che Cruijff gli siano stati superiori, escludendo Maradona da qualsiasi classifica, perché non è degno di stare nel gruppo insieme a questi mostri sacri. Su una cosa, però, tutti possiamo essere d'accordo: il talento. I quattro che ho già citato avevano un enorme talento, così come Zidane o Puskas, per dirne altri due. Ma il giocatore con il maggior talento - quello che gli è stato consegnato direttamente da madre natura, senza bisogno di dover allenarsi per renderlo migliore - è stato George Best. Un ragazzo di 1,75m per nemmeno 70 kg, ma con un estro calcistico innato, in grado di far venire la pelle d'oca solo a vederlo. Denis Law, suo compagno di squadra al Manchester United, disse che era il giocatore perfetto, capace di influenzare un'intera generazione. 
La forma fisica e mentale via via si son perse, ma il talento è rimasto sempre quello, cristallino, intatto, trascinato tra Stati Uniti, Scozia e Australia, in un immenso giro del globo che ha portato il ragazzo di Belfast a riscoprire il gioco del calcio, nel vero senso della parola. Perché un talento così ha bisogno di libertà, non riesce a stare rinchiuso dentro degli schemi. Ecco perché l'addio al Manchester United, alla vera carriera calcistica, a soli 28 anni. Ecco perché l'inizio di questo tour in zone ben più divertenti della triste e cupa Manchester. 
Alla fine la forma fisica si perderà in modo irrimediabile, lasciando un grande vuoto nel mondo del pallone. Un vuoto che, a dirla tutta, si era già creato all'inizio degli anni '70, quando tutta la critica concordava sul fatto che George Best sarebbe potuto diventare ancora più grande, se solo lo avesse voluto, se solo non si fosse lasciato andare. Ma alla fine, a lui, cosa importa? Lui giocava semplicemente per divertirsi e divertire. E ci è riuscito, perché già il semplice fatto di aver potuto vedere una partita di George Best è stata un'enorme opportunità. Perché nel calcio troppo serio e pieno di soldi di adesso, un altro Belfast Boy servirebbe tanto, come un raggio di Sole tra le nuvole, per ridare un po' di gioia in un calcio che - tra calcio scommesse e altri scandali - sta diventando sempre più sporco e triste.
Magari non è stato il migliore, il più forte, di tutti, ma senza ombra di dubbio c'era più talento nel piede di George Best che in qualsiasi altro calciatore. 
Ed è giusto ricordare ciò che disse Jimmy Greaves: "E sappiate una cosa: una partita di George Best é l'equivalente di dieci anni di un mediocre giocatore." E aveva ragione il vecchio Jimmy, aveva proprio ragione.


mercoledì 17 luglio 2013

La seconda chance di Georgios Katidis


No, non è uno di quei giocatori vecchi di cinquantanni conosciuti solo da me. Se provate a scavare nella vostra memoria, vi verrà in mente di chi sto parlando. 
Era il 16 marzo quando Katidis, giocatore dell'AEK Atene, segnò un gol contro il Veria. Come esultanza scelse di alzare il braccio facendo il saluto nazista. Per tutta risposta si è beccato una squalifica a vita dalla Nazionale Greca, oltre ad essere stato messo fuori rosa dalla sua squadra. Un duro colpo, soprattutto considerando che il ragazzo ha solo 20 anni e ancora tutta una carriera davanti a sé. Per questo, il mese scorso, è stato acquistato dal Novara, che ha deciso di credere in lui e dargli fiducia. 

"Non sapevo cosa volesse dire quel gesto, non gli ho attribuito la dovuta connotazione storica, ma ho semplicemente replicato un'immagine che avevo visto su internet. Dopo aver chiarito che si tratta di un errore che ho commesso, non posso aver paura delle reazioni che questo potrà generare, io sono quello che sono e spero che la gente mi capisca. Sono orgoglioso di essere greco, mi sono sempre impegnato molto con la maglia della Nazionale ed è stato un onore giocare la fascia di capitano. Spero un giorno di poter tornare a indossarla". Queste le parole di Katidis durante la sua presentazione al Novara. 
Adesso toccherà a lui impegnarsi tanto e giocare al meglio, in modo da lasciarsi alle spalle quel brutto gesto. In fondo, tutti meritano una seconda chance.


domenica 14 luglio 2013

Gli occhi dell'ignoranza "premeditata"


Ultimamente su Facebook sta prendendo fama la parola "ignorante" riferita al calcio e ai calciatori. Da qui tutti i derivati per fare battute sui vari giocatori, come ad esempio: "Scarso come la fica a ingegneria", "Utile come gli occhiali per Bocelli". Entrambi riferiti a Jonathan dell'Inter, ma potrei citarne tanti altri. Rimangono comunque tutti ignoranti, sia i giocatori che le battute stesse. 
Ma per trovare il vero ignorante, bisogna tornare indietro fino al 1974. La scena è una punizione che metterebbe in imbarazzo persino i tanto sfottuti Constant e Iaquinta. Il protagonista è Ilunga Mwepu, giocatore dello Zaire (odierno Congo), difensore del già noto Mazembe.
Arriviamo al fatto. Il luogo è Gelsenkirchen, la data il 22 giugno del 1974, appunto. Si gioca la terza ed ultima partita del Gruppo B della prima fase a gironi. Il Brasile, all'85', sta vincendo per 3-0 contro lo Zaire, quando venne data una punizione in posizione favorevole ai Verdeoro. Sul punto di battuta si presentò Rivelino, deciso a siglare il 4-0. Ma poco prima che Rivelino prendesse la rincorsa, il nostro Mwepu uscì dalla barriera e calciò via il pallone, lasciando tutti di stucco. I brasiliani rimasero straniti senza sapere che fare. L'arbitro, invece, ha saputo benissimo cosa fare e ammonì  Mwepu, che ebbe pure il coraggio protestare. 
Il fatto resterà avvolto nel mistero fino al 2002, quando lo stesso Mwepu spiegherà le ragioni del suo folle gesto. Furono gli uomini di Mobuto, il leader dello Zaire, a minacciare i calciatori che, dopo lo 0-2 contro la Scozia e lo 0-9 contro la Jugoslavia, non sarebbero tornati a casa in caso di sconfitta con più di tre gol di scarto contro il Brasile. Ecco perché fece quella pazzia, semplicemente per far perdere tempo ai brasiliani ed impedirgli di segnare un ulteriore gol, che poteva valere la qualificazione, dato che la differenza con la Scozia era minima. Alla fine il turno lo passarono Jugoslavia e Brasile. Lo Zaire tornò a casa senza nessun sussulto.
Ma a distanza di quasi 40 anni, la punizione di Mwepu è ancora una delle più chiare dimostrazioni di ignoranza calcistica. Perché già guardandolo lo vedevi che aveva gli occhi di chi non aveva capito niente. E gli occhi non mentono, si sa.


mercoledì 10 luglio 2013

L'Europa di Pozzo e Meisl

Dal 1930 al 1936, l'Europa calcistica parla due lingue: l'italiano e l'austriaco. Da una parte Vittorio Pozzo, con il suo metodo. Dall'altra Hugo Meisl, che costruì la sua Austria sulla sintesi tra il metodo e il sistema, l'altro modulo che veniva usato all'epoca. Pozzo e Meisl sono amici, tanto da lavorare a stretto contatto l'uno con l'altro. Forse è proprio per questo che sono le loro due squadre a dominare. Infatti i risultati ottenuti da Italia ed Austria in quegli anni sono davvero incredibili. 
Si parte con la Coppa Internazionale (http://calciobybeppe.blogspot.it/2013/03/la-coppa-internazionale_9.html) 1927/30, vinta dall'Italia. Secondi arrivano gli austriaci. L'edizione successiva, quella del 1931/32, viene vinta dagli uomini di Meisl, che sono in un periodo d'oro: quattordici risultati utili consecutivi, frutto di undici vittorie e tre pareggi, tra l'aprile del '31 e l'ottobre del '32. L'Italia però non sta a guardare e guadagna il secondo posto. L'anno dopo parte l'edizione 1933/35, vinta nuovamente dagli uomini di Pozzo, con l'Austria seconda. Insomma, i padroni sono loro.
Nel 1936 a Berlino ci sono le Olimpiadi, dove ovviamente è presente il torneo di calcio. Finale, manco a dirlo, Italia-Austria. Finisce 2-1 per gli Azzurri ed ancora oggi è l'unico titolo olimpico vinto dall'Italia.
In mezzo ci sono i Mondiali italiani del 1934. Italia e Austria si affrontano e vince Pozzo, che vola così in finale, lasciando a Meisl la finalina contro la Germania (http://calciobybeppe.blogspot.it/2013/05/laustria-si-tinge-dazzurro.html). L'Austria però perde e i tedeschi si prendono il terzo posto. Non sarà l'unica cosa che si prenderanno. L'Italia però vince in finale contro la Cecoslovacchia, diventando campione del mondo per la prima nella sua storia.

Già, la storia. Adesso arriva quella vera, quella con la S maiuscola. "Non sarà l'unica cosa che si prenderanno", sapete benissimo cosa intendo, basta una parola: Anschluss. L'Austria viene annessa alla Germania nazista e smette di esistere, proprio alle soglie del Mondiale francese del 1938, in cui sarebbero stati grandi protagonisti. Qui finisce la storia dell'Austria di Meisl, che entra nel mito. E in effetti, una squadra che viene chiamata Wunderteam, non può che essere leggendaria. Dal 1931 al 1934, perdono solo tre partite: contro l'Inghilterra a Stamford Bridge (4-3, interrompendo la serie di quattordici risultati utili), contro la Cecoslovacchia (3-1) e la semifinale contro l'Italia (1-0). Trentuno partite, 101 gol: cifre mostruose! Il calciatore simbolo di quella squadra è Matthias Sindelar, uno di quei giocatori che meriterebbero un articolo tutto loro, a parte, per l'importanza che hanno avuto dentro e fuori dal campo. Però adesso sto parlando di Pozzo e Meisl ed è giusto finire la storia. Perché se la Storia ci ha privato dell'Austria, la storia del Mondiale va comunque avanti. Va avanti anche l'Italia di Pozzo, fino alla finale, trascinata dai gol di Piola e Colaussi e dalla classe di Meazza, che insieme a Sindelar è il miglior giocatore in Europa. Italia-Ungheria 4-2: Azzurri nuovamente sul tetto del mondo e praticamente quarto titolo consecutivo dopo il Mondiale del '34, la Coppa Internazionale del '35 e l'Olimpiade del '36. In mezzo ci sarebbe anche un'altra Coppa Internazionale, quella del 1936/38, che però venne interrotta a causa dell'Anschluss, proprio con l'Ungheria prima e l'Italia seconda.
Poi scoppia la guerra e il calcio è l'ultima cosa a cui si pensa. E dell'Italia di Pozzo e dell'Austria di Meisl rimangono solo i ricordi.


Hugo Meisl lascia la panchina nel 1937, dopo oltre 24 anni. Mentre Pozzo nel 1948, dopo quasi 20 anni. L'Europa del calcio delle Nazionali, nel bene e nel male, è stata loro. Con buona pace degli amici danubiani di Cecoslovacchia e Ungheria. E anche dei cari maestri inglesi e britannici. Pozzo e Meisl hanno rivoluzionato il gioco del calcio, mettendo da parte la cara e vecchia piramide, sviluppando nuovi metodi e sistemi (nel doppio senso), rendendo le loro squadre delle vere e proprie macchine da guerra. L'Austria non vivrà più un periodo d'oro come quello degli anni '30 e l'Italia, pur trovando di nuovo la gloria mondiale per due volte, nemmeno.
Meisl e Pozzo, amici-nemici di un calcio d'altri tempi.


lunedì 8 luglio 2013

Brava Viola!


Forse non l'ho mai detto apertamente, ma quando dico che Reus e Mueller sono i miei due giocatori preferiti al momento, quando impazzisco ad ogni gol di Klose, o quando scrivo i poemi sulle statistiche della Nazionale Tedesca, potreste anche capirlo che ho un debole per la Germania. 
Agli Europei del 2008 tifai la Nazionale di Loew, ai Mondiali del 2010, dopo il 4-1 rifilato agli inglesi,  anziché odiarli, scoppiò l'amore, che raggiunse il culmine ai quarti, quando asfaltarono l'Argentina, che odio dal più profondo del mio cuore, con un netto 4-0.


Ma arriviamo ai giorni nostri. Quando nel 2011 Miro Klose firmò per la Lazio, fui molto contento perché sapevo che sarebbe arrivato un grande attaccante. Del resto è il secondo miglior marcatore di sempre nella storia dei Mondiali, dietro di un solo gol a Ronaldo. E per i Mondiali dell'anno prossimo si giocherà il posto con Mario Gomez. Proprio quel Mario Gomez appena acquistato dalla Fiorentina, sempre dal Bayern Monaco. Sarà un bel duello, anche se alla fine penso che ci andranno tutti e due in Brasile.
Ma Mondiale o non Mondiale, sono contento che ci siano due tedeschi in Italia. Quindi brava Fiorentina per questo grande colpo!



I maestri rimarranno sempre loro

Torniamo indietro nel tempo, fino al 1882. Un bell'anno per il calcio britannico. L'Inghilterra batte 13-0 l'Irlanda (quella unita), si credono, con tutta ragione, i migliori, ma la Scozia non ci sta. Mettono in mezzo anche il Galles e formano l'Home Championship, un torneo per decretare il più forte. Inghilterra, Scozia, Irlanda del Nord e Galles, sempre nello stesso anno, formano l'International Board, organismo che tiene sempre aggiornate le regole del gioco. L'anno dopo, con le regole ufficiali per tutte e quattro le nazioni, prende il via il primo Home Championship.
Ma il 1882 è anche un grande anno per quanto riguarda il boom calcistico di club. Nascono squadre a grappoli. Ma ce n'è una in particolare, che segnerà la storia del periodo a cavallo tra il XIX e il XX secolo. Sto parlando del Corinthian Football Club, di Londra. Una squadra composta solo da giocatori che frequentano le università e che gioca solo partite amichevoli. Il loro punto di forza è il gioco di squadra, che si oppone al dribbling game di quegli anni. Nel 1884 il Blackburn Rovers vinse la FA Cup, facendo credere agli altri di essere praticamente imbattibile. Il Corinthian sfidò otto volte i campioni, battendoli sempre e umiliandoli anche con un sonoro 8-1. Nel 1889 il Preston North End fa il Double Campionato-Coppa, sfida il Corinthian e perde 5-0. Nel 1900 prendono parte al Sheriff of London Charity Shield, battendo i campioni nazionali dell'Aston Villa. Nel 1903 è il turno del Bury, che fresco vincitore della FA Cup, perde 10-3. L'anno dopo asfaltano 11-3 il Manchester United, infliggendo la sconfitta più grande della storia dei Red Devils.
Nel 1897 vanno a fare una tournée in Sud Africa, per poi andare in Brasile, dove entusiasmano talmente tanto la gente che una delle squadre più famose di San Paolo e di tutto il Brasile ha ereditato il nome proprio dalla squadra inglese. Sto parlando, ovviamente, degli attuali Campioni del Mondo per Club, il Corinthians. Ma la loro fama non si è fermata solo in Sud America. Dovete sapere che le maglie del Corinthian erano bianche e nel 1902 a Madrid è stata fondata una squadra che avrebbe dominato l'Europa e scelse di usare la maglia bianca proprio in onore della squadra inglese.
Dopo la Prima Guerra Mondiale decisero di partecipare a competizioni ufficiali, ma ormai le cose erano cambiate e non andarono bene. Nel 1939 si fusero con i Casual, continuando a giocare sino a giorni nostri con il nome di Corinthian-Casual.
Sono passati più di 100 anni da quando il Corinthian insegnò calcio in giro per l'Inghilterra e per il mondo, ma la sua fama rimarrà eterna. In fondo, i maestri saranno sempre loro.


giovedì 4 luglio 2013

La Saeta Rubia

Su Alfredo Di Stefano scrissi già l'anno scorso, per il suo 86esimo compleanno. Oggi fa 87 anni. Ormai inizia ad essere seriamente vecchiotto il nostro Alfredo, ma non per questo deve essere dimenticato. Ed ovviamente io, che sono un gran nostalgico del calcio di allora, non me ne scordo del caro Alfredo.
Nel suo palmarès figurano le famose cinque Coppe dei Campioni vinte con il Real Madrid. Andò a segno in tutte le finali, siglando sette gol, di cui tre nell'incredibile partita del 18 maggio 1960 all'Hampden Park di Glasgow, quando le Merengues sconfissero l'Eintracht Francoforte 7-3, grazie anche ad una quaterna del leggendario Ferenc Puskas. Un record ancora imbattuto. 
Nella formazione all-time di World Soccer uscita ieri, l'argentino è presente, formando un centrocampo a due con Zinedine Zidane. Un ruolo strano, se si pensa che Di Stefano è stato uno dei migliori cannonieri del secolo scorso. Ma è anche vero che in campo riusciva a ricoprire qualsiasi zona, correndo in ogni direzione, recuperando palloni anche nella sua trequarti, per poi ripartire fino all'altra area, con la solita velocità che lo ha sempre contraddistinto. È stato uno dei calciatori più duttili di sempre, anche quando il fatto di ricoprire più ruoli era un'utopia.
Nella sua prestigiosissima bacheca di trofei, figurano anche due Palloni d'Oro nel 1957 e nel 1959, che ne fanno il primo a riuscire a vincerne due. Nel 1989 ha ricevuto il Super Pallone d'Oro, quale miglior calciatore europeo di tutti i tempi. 
Spesso poco considerato nella lotta a migliore di sempre (in cui ormai siamo abituati a sentire Pelé e Maradona), bisogna dire che invece è sempre stato stimato da tutti i suoi colleghi. Lo stesso Pelé disse che la gente discute di Pelé e Maradona, ma il migliore è stato proprio Di Stefano. 

Con Ferenc Puskas formò una delle coppie d'attacco più forti e prolifiche di tutti i tempi. L'argentino dirà che è stato proprio l'ungherese il migliore di tutti. Ma queste sono cose soggettive e ognuno ha il suo preferito.
Per quanto riguarda me, metto sul gradino più alto Alfredo Di Stefano. Il calciatore più forte di tutti i tempi, in grado di giocate pazzesche già negli anni '50. Un vero peccato che pochi si ricordino di lui, dato che meriterebbe molta più attenzione, in quanto è stato in grado di rivoluzionare il calcio di allora, portandolo ad una nuova dimensione e strabiliando il mondo intero con il suo Real Madrid.
In ogni caso, Alfredo Di Stefano resta uno dei giocatori più importanti della storia del calcio.


mercoledì 3 luglio 2013

Il 23 del Real Madrid

Oggi è stato presentato al Bernabeu l'ultimo colpo di mercato del Real Madrid: Isco. Il numero scelto dall'ex Malaga è il 23, che era stato "fuori uso" nelle ultime due stagioni. L'ultimo ad averlo, nella stagione 2010/2011, fu Mesut Ozil, anch'egli fresco acquisto delle Merengues. Le due stagioni precedenti il 23 era stato sulle spalle di Rafael van der Vaart, il quale lo ricevette da Wesley Sneijder, che prese il 10 del 2008. Proprio come Ozil nel 2011. Mentre dal 2003 al 2007, il 23 del Real Madrid fu affiancato al nome di David Beckham. 
Insomma, negli ultimi anni, solamente grandi nomi hanno scelto di indossare il 23. Quindi l'eredità di Isco sarà di quelle pesanti, quelle che faranno subito capire di che pasta è fatto il ragazzo. Ma per uno che è stato pagato 30 milioni di euro, la pressione di un numero come il 23 non dovrebbe essere niente. Del resto, l'ha detto anche lui: "Non mi preoccupano le responsabilità, se mi hanno voluto qui è perché credono in me."
Buona fortuna Isco!


martedì 2 luglio 2013

Differenze incolmabili


Oggi alle 15.00 si è giocata la partita tra Shirak e Tre Penne, rispettivamente i campioni nazionali di Armenia e San Marino. Il match era valido per l'andata del primo turno preliminare della UEFA Champions League, quello a cui prenderanno parte alle 19.30 anche Lusitanos (Andorra) ed EB/Streymur (Isole Far Oer). Le due vincitrice di questi scontri andranno a completare il tabellone del secondo turno preliminare, per poi arrivare fino alla fine. 
Hanno vinto gli armeni con un secco 3-0 grazie alla tripletta di Ismael Beko Fofana, attaccante classe '88 della Costa d'Avorio. Per la squadra di San Marino le cose si fanno veramente dure, ma poco importa chi riuscirà a passare il turno, dato che incontrerà poi il Partizan Belgrado, squadra nettamente superiore sia allo Shirak che al Tre Penne. Basta semplicemente guardare il ranking UEFA, che dice: Partizan 17.425, Tre Penne 1.383, Shirak 0.850. Gli armeni sono la squadra con il coefficiente più basso per quanto riguarda la Champions League, piazzandosi al 436° posto nella graduatoria totale. 
Per farvi immaginare quanto sia insormontabile lo scoglio che gli armeni dovranno superare, basta che voi pensiate che anche l'Arsenal dovrà fare i preliminari di Champions League. Certo, partirà dall'ultima fase, quella dei play-off, ma gli inglesi sono sesti nel ranking con un punteggio di 113.592. 
Però, c'è una buona notizia per lo Shirak. Anche se riuscissero ad arrivare fino all'ultima fase, non incontrerebbero i Gunners, in quanto gli armeni sono campioni nazionali, mentre la squadra di Wenger no. E le regole dicono che negli ultimi dieci scontri, per determinare chi accederà alla fase a girone, cinque di questi saranno fatti tra i cosiddetti "piazzati", mentre gli altri cinque tra i campioni.

Ma possiamo pure star certi che lo Shirak non arriverà fino in fondo, anzi, già il Partizan lo eliminerà. Ma è sempre bello sognare.