mercoledì 27 febbraio 2013

Onore al Kaiser

Franz Beckenbauer ha ricevuto il Premio del Presidente UEFA per l'anno 2012, che gli è stato consegnato direttamente da Michel Platini.
"Franz Beckenbauer ha dato un contributo memorabile al calcio, da giocatore, allenatore e amministratore - ha commentato Michel Platini -. La sua versatilità e la sua tecnica, unite alle qualità da leader, hanno caratterizzato una distinta carriera, durante la quale ha vinto diversi titoli a livello di club e in nazionale. A lui si deve l'invenzione del ruolo di libero, una vera e propria innovazione tattica. Da allenatore ha avuto altrettanti successi, portando la sua nazione al titolo mondiale. Franz Beckenbauer è un monumento del calcio e può essere orgoglioso dei suoi tanti trionfi. Per me è un grande onore consegnargli il Premio del Presidente UEFA per il 2012".


Vera e propria bandiera del calcio europeo, ha militato per 13 anni nel Bayern Monaco, vincendo ogni tipo di trofeo a livello nazionale e continentale, portando a casa tre Coppe dei Campioni consecutive, oltre ad una Coppa delle Coppe, una Coppa Intercontinentale e diversi titoli in patria.
Con la Nazionale si è laureato Campione d'Europa nel 1972, perdendo la finale nel 1976. Nei Campionati Mondiali di Calcio da lui disputati, figurano tre podi consecutivi: il secondo posto ad Inghilterra '66, il terzo a Messico '70 e il titolo Mondiale del 1974 in casa. 
Il grande palmares da giocatore viene arricchito da quello da allenatore, grazie alla vittoria di un Campionato Tedesco e di una Coppa UEFA, a cui si vanno ad aggiungere il secondo posto nel Mondiale argentino del 1986 e il titolo vinto quattro anni dopo, ad Italia '90.

Presidente del Bayern dal 1994 al 2009, adesso è presidente onorario del club bavarese.
Oltre ai trofei di squadra, è riuscito a distinguersi anche come singolo, divenendo il primo (e sinora unico) difensore ad aver ricevuto per due volte il Pallone d'Oro, prestigioso premio che viene consegnato al miglior giocatore europeo dell'anno.


Il Kaiser si aggiunge alla lista di grandi personalità a cui è stato già dato il premio, quali: Alfredo Di Stefano (2007), Sir Bobby Charlton (2008), Eusebio (2009), Raymond Kopa (2010) e Gianni RIvera (2011).

martedì 26 febbraio 2013

2O LEgend

E' doveroso fare gli auguri ad uno dei più letali attaccanti degli anni '90-2000: Ole Gunnar Solskjaer, leggendario attaccante del Manchester United. 
Soprannominato Baby Faced Assassin, per la sua faccia da bambino abbinata alla efficacia sotto porta, il giocatore norvegese ha messo a referto 126 gol in 366 partite con la maglia dello United, quasi tutte giocate partendo dalla panchina; come la finale di Champions del 1999, in cui segnò il gol della vittoria praticamente all'ultimo secondo. 
Era molto più che una riserva di lusso, era il giocatore perfetto per professionalità e qualità, uno che stava zitto e che parlava solo con i gol.
Oggi fa 40 anni ed ha una promettente carriera d'allenatore difronte a sé. 
Auguri Ole!



Tra il mito di Duncan e la realtà di Phil

Duncan e Phil

Quello che è stato e che è Duncan Edwards dalle parti di Manchester, è qualcosa di unico. 
Duncan è stato un ragazzo amato da tutti e sempre ben visto da tutti. Ogni persona dell'epoca diceva che sarebbe potuto diventare il miglior giocatore britannico di sempre e uno dei più grandi sportivi della storia.
Edwards ha giocato solo sei stagioni nel Manchester United (suo unico club), riuscendo comunque a lasciare il segno nella storia della società, scendendo 177 volte in campo e timbrando il cartellino per 21. Ma non sono i numeri ad aver reso grande un ragazzo che grande ancora non lo era diventato, perché 21 anni sono pochi, troppo pochi. Troppo pochi perché il 6 febbraio 1958 nella gelida Monaco di Baviera, si consumava il drammatico incidente, a cui Duncan riuscì comunque a sopravvivere. Lottò fino alla fine, per 15 giorni, prima di arrendersi al destino, che se lo è voluto portare via anzitempo, lasciando il rimpianto per non averlo visto a  livelli ancora più alti, del resto era poco più di un teenager con una vita davanti.
Il mitico Sir Bobby Charlton, che lo ebbe come compagno, lo reputa come l'unico giocatore che lo ha fatto sentire inferiore. Mentre per allenatori del calibro di Terry Venables e Tommy Docherty, Duncan avrebbe sollevato la Coppa del Mondo del '66 da capitano (per il primo) e sarebbe diventato più forte di George Best, Maradona e Pelé (per il secondo). Mentre è emblematica la frase che disse Jimmy Murphy, allenatore in seconda delle United e che ebbe il merito di scoprire Duncan: "Quando sento Muhammad Ali proclamarsi il migliore del mondo, mi viene da ridere. Il migliore di tutti è stato un giocatore di nome Duncan Edwards."
Un giocatore amato ancora adesso, a distanza di 55 anni dalla sua morte, ma di cui non si saprà mai il suo vero valore.
Dicevo che si arrese 15 giorni dopo l'incidente, il 21 febbraio. Esattamente lo stesso giorno nel 1992, nasceva Phil Jones, un promettente difensore, sempre più usato nel ruolo di centrocampista centrale, che gioca proprio nel Manchester United. Le qualità sono indubbiamente diverse, ma questo ragazzo è sicuramente un predestinato e anche se non credo in queste cose, lo spirito di Duncan lo guiderà verso una carriera ricca di successi, proprio come sarebbe potuta essere quella di Edwards.
Perché? Il perché ve lo faccio dire ancora da Murphy e dal discorso che tenne ai funerali di Duncan: "Il migliore? Ce n'è stato solo uno ed era Duncan Edwards."
Ciao Duncan! 

Tutti in piedi per Bobby Moore

La Premier ha quel fascino che solo il calcio inglese sa offrire. Prendiamo ad esempio il Monday Night, la classica partita del lunedì sera. Lunedì 25 è andato in scena uno dei tanti Derby di Londra, all'Upton Park si sono affrontanti West Ham e Tottenham. Il padrone assoluto del match è stato il sempre più devastante Gareth Bale, che apre e chiude le marcature, regalando il successo per 3-2 ai suoi ad una manciata di secondi dal termine.
Ma non voglio parlare dell'incontro in sé, non sarebbe giusto. Non sarebbe giusto perché occorrerebbe parlare della cornice, dell'Upton Park, di un Upton Park tutto in "festa" per il suo più grande campione: Bobby Moore.
Era il 24 febbraio 1993, vent'anni fa, quando Robert Frederick Chelsea Moore morì a causa di un tumore all'intestino. 
Gli Hammers hanno deciso di rendere onore al loro giocatore più rappresentativo, il loro numero 6. Uno che ha fatto la storia del West Ham dal 1958 al 1974 con 544 presenze in First Division, portando a casa un Charity Shield, una FA Cup e una Coppa delle Coppe. 
Ma Bobby Moore verrà ricordato da tutti gli amanti del calcio inglese perché quel 30 luglio 1966, quando l'Inghilterra batteva la Germania Ovest 4-2 a Wembley, ad alzare la Coppa del Mondo per i Three Lions c'era proprio il capitano del West Ham. 
E così, per celebrare il ventennale della sua scomparsa al 6', come il numero di maglia di Bobby, tutto lo stadio si è alzato in piedi e si è unito in un applauso lungo 1', per rendere onore ad uno più grandi giocatori della storia del calcio inglese, definito da Pelé come il più corretto difensore di sempre. 
Bobby Moore è stato semplicemente un grande e i tifosi del West Ham, giustamente, ne vanno fieri e tengono alto il suo onore e la sua memoria.




Amore fraterno


Nella partita giocata sabato 23 febbraio al Loftus Road di Londra tra QPR e Manchester United, si sfidavano i due gemelli da Silva: Rafael dei Red Devils e Fabio dei Rangers.
Dopo aver militato nel club di Manchester per quattro anni, Fabio è stato mandato in prestito alla squadra londinese, mente suo fratello è rimasto all'Old Trafford. Per la prima volta nella loro vita si sono trovati separati, proprio loro che hanno passato tutti i loro 22 anni assieme.
Come dice lo stesso Rafael: "Il fatto che Fabio sia andato a Londra è stata la prima volta in cui siamo veramente divisi. Non abbiamo passato un anno distanti l'uno dall'altro. Ma dobbiamo prenderne atto. Quando giochi ti dimentichi tutto, dimentichi che c'è tuo fratello nella squadra avversaria. Siamo dei professionisti e dobbiamo giocare per vincere, perché il Manchester United sta lottando per diventare campione e vogliamo vincere ogni partita. Sono felice di aver vinto oggi e di esserci avvicinati ancora di più al titolo."
La partita è finita 2-0 per lo United con un super gol di Rafael, che è stato commentato così dal fratello Fabio: "Mi ha fatto piacere vedere mio fratello segnare un gol così. Ovviamente avevo voglia di festeggiare, ma ero seduto vicino al presidente del QPR! 
Dopo gli ho detto (a Rafael) "Non fai mai gol come questi e li devi fare proprio contro la mia squadra!". Ma sono contento per lui. Sono cresciuto molto questa stagione, tutti e due siamo maturati. Lui sta facendo faville e io sto giocando di più. La scelta di cambiare è stata una cosa buona."
Uno gioca a destra e l'altro a sinistra. Possono giocare assieme e lo hanno fatto per tanto tempo e di sicuro torneranno presto a farlo e quando Rafael farà di nuovo un gol del genere, Fabio potrà esultare tranquillamente.






sabato 16 febbraio 2013

Frankie's Magic Football

"Ho avuto l'idea di Frankie e del pallone magico quando leggevo i racconti alle mie bambine. Lo sport e la lettura sono fondamentali a casa nostra, quindi ho deciso di scrivere le mie avventure calcistiche".
Ovviamente il Frankie in questione è Lampard, bandiera del Chelsea, di cui è il secondo cannoniere assoluto.

L'idea, quindi, parte proprio dal leggere storie alle sue bambine. E allora perché non scrivere delle storie sul calcio, per i più piccoli, ispirandosi ad amici e compagni di squadra? Lampard non c'ha pensato su due volte e a giugno pubblicherà il primo libro, dal titolo "Frankie Versus the Pirate Pillagers", cui seguiranno altri due volumi a dicembre e ancora due nel 2014, per un totale di cinque.




Un po' mi rispecchio in quello che sta facendo Lampard, perché anche per me lo sport e lo scrivere (più che il leggere) sono importanti; e scrivere di calcio, come sto facendo adesso, mi rende felice, perché permette di esprimere tutto quello che ho dentro. 
Inoltre i suoi libri saranno dedicati ai bambini dai cinque anni in su, in modo da avvicinare i più piccoli sin da subito al calcio e allo sport in generale; una bella cosa. Un bell'esempio per tutti gli altri calciatori, che magari oltre alle loro autobiografie, potrebbero scrivere storielle per i ragazzi, che di sicuro verranno lette con molto più gusto e passione.
Well done Frankie!


venerdì 15 febbraio 2013

La rovesciata della rivincita


Quando il Bayern prese Mario Mandzukic dal Wolfsburg quest'estate, tutti pensavano che fosse stato un acquisto "così tanto per", giusto per avere un vice-Gomez e compensare la partenza di Ivica Olic (approdato proprio al Wolfsburg). Invece il croato, che già aveva ben figurato negli Europei mettendo a segno 3 gol (capocannoniere a pari merito), si è dimostrato all'altezza di una squadra blasonata come il Bayern ed ha iniziato a fare gol a ripetizione. Il primo è arrivato subito nella Supercoppa di Germania vinta contro il Borussia Dortmund. 
In totale i gol sono 18 in 26 presenze, cifre da grande attaccante. Ben 15 di questi gol sono arrivati in Bundesliga, dove è capocannoniere; altro che vice-Gomez, questo è il dopo-Gomez! Dopo-Gomez, perché l'anno scorso il tedesco andò molto vicino a bissare il titolo di capocannoniere dopo quello del 2011. Quest'anno il re dei bomber potrebbe essere il croato, che sfruttando la scarsa condizione fisica di SuperMario (alle prese con un infortunio), è diventato sempre più l'attaccante titolare della squadra di Heynckes.

Mandzukic e Robben, matchwinners del Bayern contro il Wolfsburg

Nella partita tra la sua ex squadra e il Bayern di ieri sera, ha segnato il primo dei due gol con i quali il Bayern ha battuto i Lupi. Un gol molto bello, in rovesciata, il numero 18 di una stagione che per lui sta diventando quella della rivincita contro chi lo aveva criticato all'inizio. 

I conti si faranno a fine stagione, ma per ora, Mario si sta togliendo delle grandi soddisfazioni. Manca solo il gol in Champions League; l'Arsenal è avvisato!



giovedì 14 febbraio 2013

La "coppia" che non ti aspetti del '78

"Anche il calcio è romantico". Prendiamo Hans Krankl e Kevin Keegan, nati tutti e due il 14 febbraio (1953 e 1951), che nel 1978 formarono una strana coppia in cima ad una classifica. Ma andiamo con ordine.
Sono stati tutti e due attaccanti, uno austriaco e l'altro inglese, che hanno fatto le fortune di due top club dei loro paesi: Rapid Vienna uno e Liverpool l'altro. Ma alla fine di quel 1978, non militavano in queste squadre. Krankl era al Barcellona e Keegan all'Amburgo.

Kevin Keegan

Nell'estate di quell'anno ci furono i Mondiali in Argentina, quelli della dittatura di Videla. L'Inghilterra non partecipò, ma l'Austria sì e il merito della qualificazione fu proprio del nostro amico Hans, che riuscì pure a trascinare la Nazionale fino alla seconda fase, dove capitò in un girone infernale con Olanda, Italia e Germania Ovest. L'ultima giornata prevedeva Olanda-Italia e Germania-Austria. I tedeschi avrebbero dovuto vincere e sperare che l'altra partita finisse in parità, per poter passare il turno. L'Austria non batteva i tedeschi da 47 anni. Quella partita finì 3-2 per gli austriaci e Krankl mise a segno una doppietta, facendo entrare quella partita nella storia come "Miracolo di Cordoba", dal nome della città in cui si giocò. Quel giorno Hans diventò una leggenda in Austria. Per lui quell'anno fu magico: Scarpa d'oro con il Rapid (41 gol), trasferimento al Barcellona, una grandissima figura ai Mondiali e la doppietta nella partita di Cordoba.

Johann "Hans" Krankl
A testimoniare questa sua grande annata, fu il piazzamento nella classifica del Pallone d'Oro 1978; secondo, dietro di soli 7 punti proprio a Kevin Keegan. Eccola la strana coppia del 1978. Primo e secondo.
George Best disse su Kevin Keegan che è stato "un calciatore fortunato, che ha giocato quando in giro non c'erano grandissimi campioni". Keegan vincerà anche il Pallone d'Oro successivo, ma forse, per dare anche ragione a Best, nel 1978 se lo sarebbe meritato Krankl. Uno che è considerato il miglior calciatore austriaco di ogni tempo.







Il migliore è ancora lui

La partita di ieri tra Real Madrid e Manchester United mi ha fatto venire in mente una cosa: sia Mourinho che Ferguson sono due grandissimi allenatori ed entrambi hanno vinto la Champions League per due volte, entrando di fatto nel libro dei più grandi di sempre. Tra l'altro il portoghese, ci è riuscito con due squadre diverse, record condiviso con Happel e Hitzfeld. Ma il record non è di due, bensì di tre. 

Ma passiamo ai calciatori prima. Se le due Coppe bastano agli allenatori per essere lì tra i migliori, per i giocatori il discorso è diverso.
Il record è di Francisco Gento, con ben 6 edizioni in bacheca. Ovviamente tutte vinte con il Real degli anni '50-'60. Distaccandoci da quel Real, dove ci son tanti giocatori vincitori più edizioni, troviamo Paolo Maldini a quota 5. Menzione d'onore per Clarence Seedorf, unico ad aver vinto la Champions League con tre squadre diverse (Ajax, Real, Milan) per un totale di 4 trofei. Ovviamente ci son tanti altri calciatori plurivincitori, famosi e non.
Limitandoci ai soli Gento, Maldini e Seedorf, non si può certo dire che abbiano vinto giocando da riserve, anzi. Ma spesso è capitato che giocatori non proprio forti e relegati in panchina per gran parte della carriera, abbiano più Coppe nel palmares rispetto ad altri che sono stati indubbiamente più bravi. Per gli allenatori non vale questo discorso, perché gli allenatori non hanno riserve e quando vincono lo fanno, quasi sempre, da protagonisti, lasciando la loro impronta. Giocando un bel calcio o magari facendo catenaccio, ma il loro marchio glielo hanno sempre lasciato. Ed è per questo che nella lista dei manager vincitori della Coppa Campioni/Champions League compaiono solo grandi nomi (con delle eccezioni anche qua) e quelli che hanno vinto la Coppa più volte, sono praticamente delle leggende. Basti pensare ai due già citati, a Clough, a Guttmann, a Sacchi e ad altri. Ma fra tutti i 38 allenatori, ne spicca uno in particolare, l'unico che ha vinto la tanto ambita Coppa per tre volte: Bob Paisley, capace di centrare questo traguardo con il Liverpool a cavallo tra gli anni '70 e '80. Un record che dura ancora adesso e che uno tra Ferguson e Mourinho, dovrà smettere di inseguire prematuramente... almeno per quest'anno. Poi tornerà anche Guardiola, il PSG di Ancelotti avrà più consapevolezza dei suoi mezzi e la caccia a Paisley ricomincerà. 

Sotto a chi tocca, Paisley detiene il record dall'ormai lontano 1981 e non potrà mica durare in eterno!


lunedì 11 febbraio 2013

Oltre una finale

In finale di Capital One Cup (la Coppa di Lega Inglese), quest'anno ci sarà il Bradford, che milita in League Two, la quarta serie inglese.
Ma non è di questo che voglio parlarvi, perché ci sono cose più importanti di cui star qui a scrivere.
Nella seminale d'andata, giocata al Valley Parade, il Bradford è riuscito a sconfiggere l'Aston Villa per 3-1 e in tribuna c'era Jake Turton, un bambino di nove anni tifoso del Bradford. Talmente tifoso che ha seguito la sua squadra pure al Villa Park, dove ha subito una sconfitta indolore per 2-1.
Ma chi è Jake? E' un bambino, tifoso appunto del Bradford, a cui è stato diagnosticato un tumore alla spina dorsale 3 anni fa. Una vita rovinata. In mezzo un'operazione, 10 settimane di coma, le sedute di chemio. Aveva pure perso la capacità di camminare e parlare e perciò ha dovuto fare delle lezioni per rimparare.
Nella partita del Villa Park lui non era lì a caso, ma era stato direttamente invitato dai suo idoli, che lo hanno ormai eletto a mascotte della squadra.
Così, quando la partita è finita e il sogno del Bradford è diventato realtà, il capitano Gary Jones, mentre tutti festeggiavano, è andato in tribuna, ha abbracciato e baciato Jake ed ha festeggiato con lui.
Il calcio va oltre i milioni e i calciatori strapagati. Il calcio è anche e soprattutto questo: amore per la maglia e per il gioco.
Chapeau Bradford.



Ryan l'immortale

Alzi la mano chi pensa che Ryan Giggs abbia (quasi) 40 anni. E se l'alzate, non dite "perché è brizzolato". Anche van Persie lo è, quindi.


Bene, bando alle ciance, è impossibile credere che uno che corre come un ragazzino, disegna lanci perfetti, mette cross da appoggiare in rete e segna un gol come quello di ieri, sia sopra i 30 anni. Invece il buon Ryan ne ha fatti 39 a novembre, ma nessuno pare essersene accorto.
Con il gol di ieri ha centrato un altro record, o meglio, continuato: 21 stagioni di Premier League, 21 stagioni in gol. L'unico, nessuno come lui. E le cifre diventano ancora più grandi, considerando le due stagioni di First Division fatte prima della riforma. Anche lì, ovviamente, ha segnato. E allora sono 23 le stagioni consecutive in cui è andato a segno. I gol con lo United sono 168, le presenze 929. Fossi in lui, proverei a raggiungere le 1000. Tanto 40 o 45 anni non fa differenza per Ryan. Ryan l'immortale.


Il sostituito vincente

Di solito si parla dei sostituti, di quelli che entrano dalla panchina. Ma oggi voglio parlarvi di quello che è stato il più famoso sostituito in una finale di Coppa Campioni. Parlo di Jimmy Rimmer, portiere dell'Aston Villa che sconfisse il Bayern Monaco nella finale del 1982.
La sua carriera inizia nel 1965 al Manchester United, appena 17enne, ma il portiere titolare di allora, Alex Stepney, non gli permise di trovare spazio. Rimase a Manchester per ben nove anni (incluso un prestito allo Swansea), collezionando la miseria di 46 presenze, però.
Nel 1974 approda all'Arsenal, dove riesce finalmente a mettersi in mostra. Riesce pure ad essere convocato in Nazionale, per un'unica volta, ma il suo è un esordio disastroso: in un'amichevole contro l'Italia, subisce 2 gol, viene sostituito e l'Inghilterra vinse 3-2 in rimonta. Mica male.
Dopo tre anni nelle file dei Gunners, nel 1977 si trasferisce all'Aston Villa, rimanendoci fino al 1983 e vincendo ben 4 trofei tra il 1981 e il 1982.
Il suo nome viene scritto nella storia dopo il 26 maggio 1982, quando si giocò la finale di Coppa Campioni tra Aston Villa e Bayern Monaco. Dopo neanche 10', Rimmer si infortunia ed è costretto a lasciare il terreno di gioco, venendo sostituito da Nigel Spink. Spink farà delle grandi parate che permisero ai Villans di mantenere la porta inviolata, mentre dall'altra parte Peter Withe segnava l'unico gol della partita, facendo diventare l'Aston Villa la quarta squadra inglese, dopo Manchester United, Liverpool e Nottingham Forest, a vincere la tanto ambita Coppa dei Campioni.
Per Rimmer si trattava di un grande traguardo, dato che divenne il secondo giocatore nella storia a vincere la Coppa con due squadre diverse; il primo fu Malatrasi (con Inter e Milan negli anni '60). Infatti, quando lo United vinse contro il Benfica la finale del 1968, Rimmer era in panchina, pronto a sostituire Stepney in caso questi si fosse s'infortunato (cosa che non accadde). Proprio come successe a lui 14 anni dopo. E così la gloria se la prese il giovane Spink, lasciando a Jimmy il record della due Coppe vinte con squadre diverse, senza aver giocato neanche un tempo.
Chiuderà la sua carriera tra Swansea, Hamrun Spartans e Luton Town.
E' nato il 10 febbraio 1948, ieri ha compiuto 65, ma per tutti rimarrà il portiere che fece diventare famoso Nigel Spink.


domenica 10 febbraio 2013

Il difetto di sua maestà

Agli inglesi piace bere, c'è poco da fare. Quando iniziano non sanno più smettere e non riescono più a controllarsi. Lo fa la gente normale, come lo fanno i calciatori. Rooney, per esempio, è finito sui giornali per aver fatto qualche cazzata da ubriaco. Ma il suo, fortunatamente, non è un problema.
Non vi ho parlato di Rooney a caso, l'ho fatto perché voglio dirvi del suo idolo: Paul Gascoigne.


Dimenticatevi quest'immagine, perché Gazza non è più così. E' ricoverato in una clinica per disintossicarsi, perché per lui l'alcool è stato più di un semplice compagno di avventura. Per lui è stato il nemico numero uno, quello che gli ha impedito di giocare a livelli più alti di quanto non abbia fatto. L'alcool lo ha distrutto e oggi è in fin di vita.
Ecco perché il ricovero. Ma qualcosa è andato storto, non è facile smettere da un giorno all'altro e il suo corpo non ha retto. Il Sun dice che "Ha avuto una reazione terribile all'astinenza da alcol. I suoi organi vitali stanno cedendo. Purtroppo non ha i soldi per permettersi le cure necessarie".
Il suo amico ed ex compagno di Nazionale, Gary Lineker insieme al dj Chris Evans, lo stanno aiutando ad uscirne.



Su internet ho visto immagini di lui messo peggio di così, ma il titolo dice abbastanza.
Allora uniamoci a Rooney che dice "E' terribile. E' il mio eroe sin da quando ero bambino, è triste vederlo così ora. Gli auguro di ripendersi, e sono sicuro che ogni persona in Inghilterra farà lo stesso. In bocca al lupo..."
In bocca al lupo Gazza e speriamo che questo difetto non ti porti via anzi tempo.

Le Aquile tornano a volare


Un'attesa lunga 19 anni. L'ultima volta fu nel 1993 e la Nigeria vinse la Coppa d'Africa svolta in Tunisia per 2-1 contro lo Zambia. L'eroe di allora fu Amuneke con una doppietta, oggi è toccato a Mba portare i suoi sul tetto dell'Africa per la terza volta nella storia. Ma in realtà il vero eroe del torneo è stato Emenike, autore di quattro gol nella competizione e capocannoniere insieme al ghanese Mubarak.
Una grande soddisfazione per il ct della Nigeria Keshi, che militava proprio nella squadra che vinse la Coppa nel 1994.
In finale le Aquile hanno avuto ragione del sorprendente Burkina Faso, che è riuscito ad eliminare niente meno che il Ghana in semifinale.
Con questa vittoria, la Nigeria si è qualificata alla Confederations Cup che si terrà quest'estate in Brasile, dove affronterà Spagna, Tahiti e Uruguay.
L'appuntamento con la Coppa d'Africa è fissato per il 2015, in Marocco. E la Nigeria punterà a riconquistare la Coppa. Ma prima, c'è un Mondiale...


sabato 9 febbraio 2013

Lo stadio maledetto

Sandor Kocsis


Zoltan Czibor
Ci sta perdere, fa parte del gioco. Ma a volte, ci sono partite che non vorresti perdere per nulla al mondo. Magari una finale di Coppa del Mondo o una finale di Coppa Campioni.
Il modo poi, in cui si perde, può fare la differenza, perché ci sono modi che non riesci proprio a mandare giù.
Ad esempio, perdere in rimonta deve essere bruttissimo. Perdere una finale di Coppa del Mondo in rimonta devastante. Perdere una finale di Coppa Campioni in rimonta ti deve far piangere. Perdere una finale Mondiale e di Coppa nello stesso stadio, in rimonta, deve essere un segnale che quello non è propriamente il tuo stadio.
Sto parlando del Wankdorfstadion di Berna, dove si disputò la finale del Mondiale svizzero del 1954 e della Coppa Campioni 1961.
I Mondiali li vinse la Germania per 3-2 contro l'Ungheria, dopo che Puskas e Czibor avevano portato i magiari sullo 0-2. Campione d'Europa nel '61 fu il Benfica, sempre per 3-2, contro il Barcellona, dopo che i catalani erano andati in vantaggio con Kocsis, prima di essere rimontati 3-1, per poi segnare il 3-2 con lo stesso Czibor. Tutti e due avevano disputato la finale Mondiale del 1954 perdendola, in rimonta, e tutti e due avevano perso la finale di Coppa Campioni del 1961. Zoltan Czibor segnò in tutte e due, ma non ne vinse una. E forse per lui e il suo amico Sandor, quello è veramente il loro stadio maledetto.



L'ultima volta dei Devils a Madrid

Per ritrovare un altro Real Madrid-Manchester United, si deve andare indietro fino all'8 aprile 2003, dove le due squadre si incrociarono nei quarti di finale e l'andata fu giocata al Bernabeu.
Nella seconda fase a gironi, lo United vinse il suo gruppo, davanti a Juventus, Basilea e Deportivo la Coruna. Per il Real, arrivato secondo dietro al Milan, lo United era l'unica scelta, dato che Valencia e Barcellona avevano vinto i loro raggruppamenti.
Nelle file delle Merengues militava gente come Ronaldo, Raul, Figo, Zidane, Roberto Carlos. Sir Alex Ferguson poteva contare su van Nistelrooy, Beckham, Giggs, Scholes, Solskjaer.
Insomma, erano due grandi squadre e il Real era pure campione in carica. Lo spettacolo non sarebbe mancato.
Dopo un avvio con qualche tentativo da ambo le parti, al 12' Figo trova l'1-0 e poi ancora al 28' Raul segna il 2-0 che stende lo United.
Nella ripresa Raul sigla la sua doppietta al 49'. Van Nistelrooy prova a riaprila al 52', ma è tutto inutile. Il Real vince 3-1 in casa e mette una seria ipoteca sulle semifinali e sul sogno di vincere la decima Coppa dei Campioni.
Ma di questo, ne parlerò un altro giorno.


venerdì 8 febbraio 2013

Il capitano dei Busby Babes

Roger Byrne non era un giocatore dalla tecnica sopraffina, non faceva dei gran contrasti e la sua abilità di testa era nella media. Faceva il difensore, ma non era un muro insuperabile. Ma non è per questo che è ricordato. Viene ricordato per la sua etica sportiva e per l'intelligenza che metteva in campo, che gli permetteva di stare al posto giusto al momento giusto. Era un difensore centrale, un libero volendo, che lanciava la punta e sperava che facesse gol. Alcune volte si buttava anche in avanti, facendo grandi cavalcate, ricordandosi di esser nato come ala.
Con il Manchester United, sua unica squadra, ha messo insieme 280 presenze e 20 gol, dal 1951 al 1958. Mentre con l'Inghilterra ha il record di aver giocato tutte e 33 le sue partite consecutivamente, non andando mai a segno però.
La sua carriera s'interruppe il 6 febbraio 1958, quando perì a Monaco di Baviera insieme ad altri suoi sette compagni in un incidente aereo.
Se fosse tornato a casa, avrebbe scoperto che sua moglie era incinta. Otto mesi dopo la sua morte nacque il bambino, che prese il nome del padre.
Dalle parti di Manchester è ricordato come uno dei capitani più influenti della squadra, avendola capitanata dal 1954 al 1958, anno della sua morte.
Oggi avrebbe fatto 84 anni, ma la sua vita si è fermata a neanche 29, giusto due giorni prima.




Ruud nella storia; Wayne ci spera

Diamo un po' di statistiche.
L'8 febbraio del 2004, Ruud van Nistelrooy segnava il suo 100esimo gol per il Manchester United. Ci riuscì giocando solo 131 gare ed entrando nei record come il giocatore dei Red Devils ad aver raggiunto più in fretta tale traguardo. Lascerà due anni dopo, con 220 gare giocate e 150 gol all'attivo, per una media di 0,68 gol a partita. La migliore per quello che riguarda la top ten dei migliori marcatori dello United. Molto vicino ci è andato Dennis Violett, superstite del 1958, con 179 gol in 293 partite. La sua media è di 0,61. A 179 gol fatti (alcuni dicono 180) c'è anche George Best, ma la sua media è nettamente inferiore (0,38), anche se gli va dato atto che non era un attaccante come Ruud e Dennis.
Il giocatore con la media più bassa nella top ten è Ryan Giggs, capace di mettere a segno 167 centri in 928 gare disputate.
Il primatista di gol è Sir Bobby Charlton, autore di 249 gol in 758 presenze. Wayne Rooney è sulle sue tracce, a quota 194 (0,5 gol a partita), ma prima deve superare Jack Rowley a 212 e Denis Law a 237.
Adesso tocca a Wayne dimostrare tutto il suo valore e segnare, nel minor tempo possibile, il suo gol numero 250 con questa maglia, per batter Charlton ed entrare nella storia.


mercoledì 6 febbraio 2013

Gone, but never forgotten

"Come già detto, tutto ha una fine. Ma ci sono pure delle rinascite; e una di queste avverrà nel giro di pochi anni, sempre grazie a Busby. Ma questa è un'altra storia, di cui vi racconterò ben presto."
Avevo finito così il mio post di ieri. Dunque oggi vi parlerò di quel dannato 6 febbraio 1958, il giorno in cui tutto finì. Esattamente 55 anni fa.

Il Manchester United doveva tornare a casa come una delle quattro squadre in semifinale di Coppa Campioni, ma buona parte della squadra non ci tornò. Nello scalo a Monaco di Baviera l'aereo dei Red Devils si schiantò. Morirono 23 persone, 8 delle quali erano giocatori del Manchester United. Matt Busby, l'allenatore, rimase gravemente ferito, ma riuscì a sopravvivere. Per lui era la fine di un sogno, un sogno chiamato Europa. Tutti i suoi anni di lavoro, tutto il tempo impiegato nel costruire una squadra competitiva, si erano frantumati. Tutto era finito con quell'incidente. Per il resto della stagione la panchina venne affidata al suo vice, Jimmy Murphy, in attesa che Busby si riprendesse del tutto e ricominciasse ad inseguire quel suo sogno, con altri ragazzi, in memoria di quelli del 1958.
Dalle parti di Manchester, li chiamano i "The Flowers of Manchester", a sottolineare quanto quel gruppo fosse entrato nel cuore delle persone.
Il dramma dello schianto colpì tutta l'Inghilterra, non solo Manchester. L'intero paese era sotto shock, perché in questi casi le rivalità sportivo vengono a mancare e l'unica cosa che conta è il rispetto. Rispetto non solo per gli 8 dello United, ma anche per i giornalisti, i dirigenti, i membri dell'aereo e le altre persone a bordo. Non era solo il Manchester United, non era solo Manchester, non era solo calcio, era molto di più. Era un tragedia. Se cercate "Disastro aereo di Monaco di Baviera" troverete quello di cui vi sto parlando. Appunto, un disastro.
In quella squadra militava Duncan Edwards, uno dei più grandi talenti inglesi dell'epoca. A soli 21 anni era già leader indiscusso del centrocampo dei Red Devils, e ovviamente prese parte alla partita di Belgrado. Lui sopravvisse allo schianto, ma morì circa due settimane dopo in ospedale, lottando fino alla fine, come aveva abituato in campo. Rimarrà celebre la sua frase "A che ora inizia la partita contro i Wolves, Jimmy? Non devo saltare quell'incontro!". Purtroppo di lui non sapremmo mai con certezza quanto forte sarebbe potuto diventare.
Non potremmo neanche sapere come sarebbero andate le carriere di Geoff Bent, Roger Byrne, Eddie Colman, Mark Jones, David Pegg, Tommy Taylor, Liam Whelan. Le loro speranze di gloria, di successi, si infransero quel 6 febbraio.


Matt Busby, dopo quel 6 febbraio ebbe ancora più chiaro che il suo unico obbiettivo era vincere la Coppa Campioni, per i suoi ragazzi, per i suoi Busby Babes. Insieme a Murphy e al gruppo che era rimasto, ricostruì tutto, vinse altri titoli nazionali e soprattutto quello del 1966/67, che qualificò lo United alla Coppa Campioni. Nel 1968 a Wembley, il Benfica non potè far nulla, i nuovi Busby Babes vinsero 4-1 e quando Charlton (superstite del 1958) alzò la Coppa da capitano lo fece anche per i suoi ex compagni.
Tutto ha una fine, ma ci sono cose che rimangono vive nella memoria della gente e che ti spingono a crearne di nuove e risorgere. Proprio come fece Matt Busby. Proprio come fece il Manchester United.
Gone, but never forgotten!




martedì 5 febbraio 2013

The last match

Tutto ha una fine, anche le squadre di calcio.
Il 5 febbraio del 1958, il Manchester United di Matt Busby giocò la sua ultima partita prima dell'incidente aereo di Monaco di Baviera. Gli ultimi avversari furono gli jugoslavi della Stella Rossa di Belgrado, in una partita che terminò 3-3, grazie alla doppietta di Sir Bobby Charlton e al gol di Dennis Viollet. Il risultato, sommato al 2-1 dell'andata, qualificava i Red Devils in semifinale di Coppa dei Campioni per la seconda volta di fila.
Nel 1957 fu il Real Madrid ad eliminare gli inglesi, nel '58 il Milan. Entrambe le edizioni vennero poi vinte dagli spagnoli, ma per molti i Busby Babes avrebbero potuto dargli del filo da torcere negli anni a venire, in cui dominarono il calcio europeo.
Come già detto, tutto ha una fine. Ma ci sono pure delle rinascite; e una di queste avverrà nel giro di pochi anni, sempre grazie a Busby. Ma questa è un'altra storia, di cui vi racconterò ben presto.


lunedì 4 febbraio 2013

Il mio ritorno ungherese: Gyula Grosics

Torno, finalmente. Non scrivevo dal 14 settembre.
Bene, oggi voglio parlarvi di "Fekete Parduc", la pantera nera in ungherese. Chi è costui? Gyula Grosics, il portiere della mitica Ungheria degli anni '50.
Come la maggior parte dei talenti ungheresi di quella generazione, è definitavamente esploso nella Honved, dopo aver giocato per cinque anni in squadre alquanto sconosciute. Nel 1950 si trasferisce, appunto, ai rossoneri di Budapest, dove si afferma come buon portiere, ma anche come portiere-difensore, dato che partecipava all'azione e con i piedi non era malaccio, anzi. Rimarrà alla Honved per sei anni, fino al 1956, contribuendo alla vittoria di quattro titoli ungheresi. Dovette di fatto abbandonare la squadra, perché gli venne imposto di andare a giocare nel Tatabanya, una squadra di provincia, dopo la Rivoluzione Ungherese. A lui andò peggio che ai suoi compagni della Honved, dato che loro riuscirono a scappare nell'altra Europa (quella dell'ovest) e continuarono pure a giocare in squadre di maggior prestigio, ottenendo successi che li hanno consacrati nella storia. Al povero Gyula andò peggio e fu costretto a giocare altri cinque anni in una squadra in cui non aveva neanche scelto di andare. Nel 1962, si ritira, lasciando un gran vuoto in mezzo ai pali dei Magiari.
Nel 1962 disputò anche l'ultimo dei suoi tre Mondiali; il primo è entrato nella storia. Ovviamente parlo del Mondiale svizzero, del 1954. Ovviamente, parlo di Germania-Ungheria 3-2. C'era Gyula in porta e quel Mondiale l'avrebbe sicuramente meritato. A 6' dalla fine concede il gol della vittoria, siglato da Helmut Rahn. Grosics dice che quel gol se lo sogna ancora la notte, come se fosse il suo più grande incubo.
Nel suo palmares può comunque annoverare una Olimpiade, quella del '52, che ai tempi valeva molto più di adesso.
Insomma, un grande portiere, che ha pure lanciato la moda del total black, non a caso "pantera nera", una moda che verrà ripresa da Lev Jasin, il "ragno nero".

Nel 2008, 46 anni dopo il suo "addio" dalla Honved, batte il calcio di inizio di Ferencváros (la sua squadra del cuore) - Sheffield United, rimanendo in porta per qualche secondo.
Forse, si è chiusa definitivamente lì la sua carriera, non nel 1962. Aveva ancora qualche conto in sospeso con il passato e lì lo ha definitivamente chiuso. Peccato non poter dire che è un portiere campione del mondo, ma questi sono dettagli.
Il 4 febbraio del 1926 nasceva a Dorog questo grande giocatore.