domenica 13 ottobre 2013

Fitzcult Hurrà: sempre e comunque

"Il calcio non è questione di vita o di morte. È molto di più.". Questa è la celebre frase di Bill Shankly, storico allenatore del Liverpool. E forse aveva ragione lui. Almeno in questa che è la storia di un panettiere e di undici giocatori che hanno rischiato la loro vita pur di non perdere la loro dignità.

Siamo a Kiev, nella primavera del 1942 e l'Ucraina è occupata dai nazisti. Josif Kordik, un panettiere, vede dall'altra parte della strada Nikolaj Trusevich, non un uomo qualunque a Kiev, no: Trusevich era il portiere della Dinamo, portiere di una squadra che, però, non esisteva più; come del resto anche la sua vita, ormai. Ma il buon Josif è un grande tifoso della Dinamo ed offre aiuto al suo portiere, facendolo lavorare segretamente nella sua panetteria. Spinto dal fatto di averne trovato uno, il panettiere di Kiev decide di cercare anche gli altri. Ne trova altri sette della Dinamo e tre della Lokomotiv. Erano undici, giusti giusti per formare una squadra di calcio in una città in cui il calcio non esisteva più e comunque dove ormai non contava più niente. Ma qualche tiro ad un pallone avrebbe comunque potuto riportare morale in quel di Kiev. Nello stesso momento i tedeschi decidono di organizzare un torneo: quattro squadre di soldati tedeschi ed alleati, una fatta di ucraini collaborazionisti (la Rukh) e i nostri "panettieri", che vengono rinominati Start. 
La partita inaugurale è una lotta interna: Start contro Rukh. Ora, c'è da dire, che seppur malconci, quelli della Start erano gli unici professionisti presenti. Finisce infatti 7-2 per Trusevich e compagni, che non si fermano più, asfaltando chiunque gli si presenti davanti e riaccendendo i sorrisi sulla facce dei cittadini di Kiev. Tra l'entusiasmo generale, il 6 agosto 1942 si gioca l'atto finale: l'inarrestabile Start affronta i tedeschi della Luftwaffe, la Flakelf. Ma anche stavolta non c'è storia. Finisce 5-1 per gli ucraini. I tedeschi, però, non ci stanno ed organizzano la partita di ritorno, che si sarebbe giocata tre giorni più tardi.


Il 9 agosto 1942 a Kiev faceva tanto caldo, talmente tanto da far scoppiare i cocomeri. O almeno così si diceva per le strade, che erano completamente sommerse dai manifesti.
Allo stadio Zenit si sarebbe giocata una partita destinata ad entrare nella leggenda. Si sarebbe giocata la rivincita tra la Start e i tedeschi, che stavolta avevano preso tutti i migliori ufficiali, quelli più bravi a giocare a calcio. Quella partita gli ucraini l'avrebbero giocata per i loro tifosi, per tutti i loro connazionali che grazie ad una partita di calcio riuscivano a dimenticarsi di tutto il resto, di tutto quello che stava realmente accadendo nel mondo. Quella partita, i giocatori della Start l'avrebbero giocata per non tradire la fiducia della loro gente.
Allo stadio Zenit solo i tedeschi hanno diritto agli spogliatoi, per gli ucraini una baracca. E proprio lì, ricevono la visita di un ufficiale (che si scoprirà essere l'arbitro), che li avverte che avrebbero dovuto fare il saluto nazista prima dell'inizio. Ma gli ucraini non ci stanno. Sono comunisti loro, non avrebbero perso la loro dignità abbassandosi a fare il saluto nazista. Mettono il pugno al cuore ed urlano "Fitzcult Hurrà", che tradotto vorrebbe dire "viva la fisi-cultura", ma che in realtà non è altro che un "viva lo sport", quello che veniva urlato sempre.
Quando la partita inizia, si capisce subito che non sarebbe stato un pomeriggio facile per la Start. I tedeschi, infatti, passano in vantaggio con un gol in netto fuorigioco. Ma a quel punto i campioni ucraini iniziano a far vedere il meglio di loro stessi, segnando tre volte in meno di venti minuti. Il primo tempo finisce 3-1 per la Start, che riceve un'altra visita a questo punto. Il succo della conversazione più o meno è questo: noi, tedeschi, non possiamo perdere; voi, ucraini, potere perdere eccome la vita.
In un clima di terrore, riprende la partita. La Flakelf segna subito due gol, portandosi sul 3-3. Ma è qui che l'orgoglio della Start esce definitivamente, consegnandoli alla leggenda. Si liberano da tutte le paure e da tutte le pressioni che avevano addosso, segnando altri due gol. Klimenko sbeffeggia gli avversari, scartandoli tutti, compreso il portiere, prima di girarsi e spazzare la palla via anziché fare la sesta rete. È un affronto unico ai nazisti: non solo hanno perso, ma vengono pure presi in giri.
Finisce 5-3 per la Start. Quello che succederà dopo è facilmente intuibile. Si salveranno solo Tyutcheve Goncharenko, a cui verrà pure dedicata una statua. Fu proprio lui a raccontare la storia della Start e a farla entrare di diritto nella leggenda. La storia di una squadra che non ha avuto paura della morte, ma anzi l'ha affrontata, sconfiggendola pure e mantenendo alta la propria dignità. La storia di una squadra che anche in un momento delicato come quello, è riuscita a ricordarsi che il calcio è semplicemente uno sport. Anche quando non stavano giocando una partita qualunque, ma la Partita della Morte, una di quelle partite che sarebbero rimaste per sempre nel mito di questo sport.
Quindi gridiamolo tutti insieme: Fitzcult Hurrà, perché avevano ragione loro. E aveva ragione anche Shankly.