domenica 5 gennaio 2014

La Perla nera del Mozambico

José Carlos Bauer è stato un giocatore brasiliano di chiare origini svizzere. Ha raccolto 29 presenze con la Nazionale Brasiliana, ma è al San Paolo che ha legato la sua carriera: undici anni dal 1945 al 1956 e oltre 400 partite. Poco dopo il suo addio al Tricolor, sulla panchina della gloriosa squadra brasiliana arriva Béla Guttmann, allenatore ungherese con una carriera calcistica di quarantanni alle spalle. Probabilmente è qui che i due si conoscono: infatti Guttmann, prima di sedersi ufficialmente sulla panchina del San Paolo, l'anno prima aveva fatto una tournée in Brasile con la mitica Honvéd, anticipando la sua esportazione del 4-2-4. I brasiliani nel 1958 ne fecero buon uso; Pelé, Garrincha, Didi e Vavà fecero il resto: era il quadrato magico del Brasile campione del mondo del 1958 e tutto si doveva al grande Béla. Torniamo però al nostro amico José e alla sua conoscenza con Guttmann. I due erano entrambi degli ex centromediani metodisti, un ruolo che ormai non esiste più, ma che a quei tempi era parte integrante del gioco del pallone. Forse Béla ha provato anche a dare qualche consiglio a Bauer, fatto sta che ormai gli anni erano 33 e il brasiliano decise di appendere gli scarpini al chiodo e di iniziare la carriera di allenatore. 

Nulla, non succede nulla. La sua carriera è ben distante da quella dell'amico ungherese. I due comunque rimangono in contatto e nel 1960 Bauer va a fare una tournée in Mozambico con il Ferroviaria. Qui mette gli occhi su quello che sarebbe stato il dominatore del calcio portoghese per i successivi quindici anni. Lo segnala a Béla, che intanto era passato al Benfica, e l'affare si conclude. Eusébio da Silva Ferreira diventa un calciatore di Béla Guttmann ed è qui che nasce la leggenda. È qui che inizia la storia.
Eusébio nasce il 25 gennaio 1942 a Lourenço Marques, la capitale del Mozambico, che allora era ancora una colonia portoghese. Dopo l'indipendenza la città cambiò nome e diventò Maputo, com'è conosciuta tutt'oggi. Inizia a giocare già a 15 anni nella squadra della sua città: si vedeva già che era destinato ad andarsene da lì, era troppo forte per gli altri. I numeri parlano per lui: 42 partite, 77 gol. Non c'era storia, doveva provare il calcio europeo. A 18 anni arriva il calcio europeo grazie al Benfica, grazie a Bauer che l'ha scoperto, grazie a Guttmann che ha creduto in lui. Nel 1961 un autentico uragano si abbatte sul Vecchio Continente e non risparmia nessuno. In quell'anno il Benfica è campione in carica del Portogallo e ha quindi diritto a partecipare alla Coppa Campioni. Le energie vengono concentrate tutte lì e forse è per questo che gli uomini di Guttmann arrivano solo terzi in campionato. Poco importa. Vincono la Taça de Portugal e arrivano in finale di Coppa Campioni dopo aver fatto fuori Austria Vienna, Norimberga e Tottenham. Dall'altra parte c'era il Real Madrid, a cui proprio i lusitani avevano rubato lo scettro di regina d'Europa l'anno prima, interrompendo l'egemonia lunga cinque anni degli spagnoli. Quindi non era una semplice finale, era campioni contro campioni. Gli unici fino ad allora ad aver scritto il loro nome nell'albo d'oro della manifestazione. 
È il 2 maggio 1962, si gioca allo Stadio Olimpico di Amsterdam e si gioca un derby tutto iberico: undici portoghesi per il Benfica, otto spagnoli più tre naturalizzati per il Real, che ha anche l'allenatore spagnolo. I lusitani invece no, perché loro hanno Guttmann, che è ungherese, nato a Budapest. Proprio come uno dei tre naturalizzati nelle file del grande Real. Parlo, ovviamente, di Ferenc Puskas, che forse viene esaltato dal fatto di giocare contro un allenatore del suo stesso paese, della sua stessa città, e ne mette dentro tre in 21', quasi a voler dire al vecchio Béla che i migliori sono in Ungheria, senza bisogno di andarsene in giro per il mondo. Il primo tempo finisce 3-2 per gli uomini di Munoz e gli spagnoli già festeggiano. Non avevano fatti i conti con Eusébio però. Ci mette anche lui una ventina di minuti: al 51' pareggia Coluna, poi dal 65' al 68' sale in cattedra la Perla nera. Uno-due micidiale che spezza le gambe al Real e porta il Benfica sul 5-3. Inutile dire che la partita finisce lì, perché quel Benfica era davvero di un'altra categoria. Il Grande Real delle cinque Coppe era finito, i giocatori erano vecchi ormai. Ok, è vero, però avrebbero messo in cassaforte altre quattro vittorie in Europa. Il Benfica invece? Loro no e la colpa è proprio di chi li ha resi grandi, quel Béla Guttmann che lanciò la maledizione secondo cui il Benfica non avrebbe più vinto la Coppa Campioni e nessuna squadra portoghese avrebbe vinto due volte Coppa. Il Porto ha vinto due volte, anche se non consecutive, ma il povero Benfica ha fatto in tempo a perdere cinque volte in finale. L'ultima volta nel 1990: il grande Eusébio prima della finale contro il Milan prega sulla tomba del suo grande mentore Guttmann. Non c'è niente da fare però. Quel Milan era anche più forte del Benfica che umiliò il Grande Real: 1-0 Rijkaard, senza storie.

Eusébio, Guttmann e Coluna

La storia di Eusébio, però, va avanti, non si ferma a quel 2 maggio 1962. L'anno dopo, infatti, il Benfica è ancora in finale di Coppa Campioni. Davanti c'è il Milan di Nereo Rocco e sulla panchina dei portoghesi non c'è più Guttmann. Eusébio però non si fa intimorire da nessuno e fa quello che gli riesce meglio: segnare. Poi però sale in cattedra José Altafini che con una doppietta manda il Diavolo in Paradiso e inizia a far capire che la maledizione di Guttmann è qualcosa di concreto.
Due anni dopo tutti iniziano a capire che qualcosa di maledetto deve esserci. A San Siro è l'Inter a bissare il successo dell'anno prima e ad aggiudicarsi la Coppa Campioni del 1965.
La beffa più grande, però, rimane quella del 1968. Ancora a Wembley, dove avevano perso con il Milan. Sulla strada verso la terza Coppa c'è il temibile Manchester United di George Best e Bobby Charlton. È proprio il campione del mondo inglese a siglare l'1-0. Graça pareggia a 10' dalla fine e poi... e poi succede l'impensabile. A poco dalla fine Eusébio si trova in area contro il portiere Stepney marcato da due difensori, spara una cannonata delle sue da posizione ravvicinata, ma la palla non entra, rimane salda tra le braccia del portiere inglese. Il portoghese reagisce in maniera più che sportiva, applaudendo alla parata di Stepney, che intanto aveva mandato via il pallone in avanti. Eusébio, invece, aveva mandato via la possibilità di rivincere la Coppa. Ai tempi supplementari gioca solo lo United, che in 3' ne mette dentro tre, con le firme di Best, Kidd e ancora Charlton. Sarebbe stata l'ultima occasione di Eusébio per vincere la Coppa Campioni.
Torniamo indietro di due anni adesso. La location è sempre la stessa, ma stavolta si giocano i Mondiali di calcio. Eusébio è semplicemente magnifico, superbo durante quei venti giorni. Ne mette dentro due al Brasile campione nella fase a gironi, vince da solo ai quarti contro la Corea del Nord che si era incredibilmente trovata avanti 3-0: quattro gol e un assist ed è 5-3 Portogallo. In semifinale trova l'Inghilterra e Bobby Charlton. Il futuro Pallone d'oro di quell'anno sigla una doppietta anche in quell'occasione, ma il portoghese non sta a guardare e segna il primo gol alla difesa inglese dopo quattro partite al mondiale. Finisce 2-1 per l'Inghilterra che va in finale. La finalina contro l'URSS la gioca, la vince e segna ancora: sono 9 gol, è il titolo di capocannoniere. Però arriva terzo e un vincente come lui non se ne fa niente del terzo posto. Piange, come forse è anche giusto che sia. La sua nazione non arriverà mai più a un traguardo così alto, neanche negli anni recenti con Figo prima e Cristiano Ronaldo poi.

Eusébio dopo la semifinale del 1966

Lui non si perde d'animo però e continua a vincere campionati e coppe in Portogallo. Alla fine saranno 11 titoli portoghesi e 5 Coppe di Portogallo. Nel 1975 decide di migrare in America, tra nord e sud. Vincerà anche qui un campionato, poi nel 1979 si ritira. A 37 anni e dopo oltre 20 anni di carriera. I numeri non bastano per rendere il degno omaggio a questo campione, ma io ve li dico lo stesso: con i club sono 585 gol in 571 partite, solo con il Benfica 473 reti in 440 apparizioni, con la Nazionale 41 centri in 64 presenze. Ovviamente, con tutti questi gol, sono arrivati anche tanti titoli di capocannoniere: oltre a quello del Mondiale del 1966, anche sette volte quello del campionato portoghese e tre volte quello della Coppa Campioni. I 42 gol nel 1967/68 e i 40 nel 1972/73 gli sono valsi due Scarpe d'oro. Nel 1970 e nel 1973 è stato eletto calciatore portoghese dell'anno, mentre nel 1965 è stata tutta l'Europa a rendergli omaggio, consegnandogli il Pallone d'oro. Pelé lo ha incluso nel FIFA 100, la IFFHS lo colloca al 9° posto tra tutti i più grandi del XX secolo. Al decimo posto c'è il suo amico/nemico Bobby Charlton, all'ottavo Garrincha, ve lo ricordate? Uno dei componenti del quadrato magico importato da Béla Guttmann, il grande mentore della Perla nera. 
Eusébio è stato semplicemente il più grande calciatore portoghese della storia. Si è messo sulle spalle il Benfica e il Portogallo e li ha resi grandi a suon di gol, tanti gol. Eusébio per me significa molto, era uno dei più grandi della storia del football. Mi dispiace dire che se ne sia andato, ma prima o poi tocca a tutti. 
Ciao Eusébio, non sarai mai dimenticato!



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