martedì 27 gennaio 2015

Principi non troppo fiabeschi, parte due

L'eleganza è quella raffinatezza che ti fa eccellere su tutti, quella che ti distingue, quella che ti mette su un piedistallo per farti ammirare dagli altri. Meglio di un piedistallo, c'è solo un trono; che però è per i re, per quelli che hanno delle responsabilità e devono caricarsi tutto sulle spalle. Capita, a volte, che arrivino persone in grado di sopportare il peso di tutti, ma che lasciano il trono agli altri. Forse aspettandolo, o forse fregandosene. Sul piedistallo ci finiscono loro e, volendo, per la loro innata eleganza consegnatagli dalla natura, vengono chiamati principi. Salta subito alla mente il legame tra la parola "principe" e il calcio. Questa storia, invece, di immediato e scontato non ha nulla, perché ad unire argentini ed uruguaiani ce ne vuole. E anche tanto.




"Questo è matto". Nella storia del calcio, quando questa frase viene accostata ad un calciatore, molto spesso si tratta di un grande calciatore, perché la pazzia, si sa, va a braccetto con il talento. Genio e follia, si diceva. La follia di lasciare una delle migliori squadre di Francia ed Europa, per approdare in un club molto meno blasonato. Enzo Francescoli, nel 1990, fece il viaggio Marsiglia-Cagliari. Solo andata. Per dimostrare, ancora una volta, quanto lui fosse elegante non solo in campo, ma anche e soprattutto nella vita. Dal titolo di Francia alla lotta per la retrocessione. Tappe intermedie di una carriera che gli ha regalato tante gioie e che lo ha visto ai vertici del calcio sudamericano ed europeo per parecchi anni.

Ora torniamo indietro, perché anche questa storia inizia da Montevideo. Anche questa volta il club di partenza è il Montevideo Wanderers. Tre stagioni, 74 partite e 20 gol bastano per attirare l'attenzione di alcuni club. Tra tutti, spicca il River Plate, verso cui Francescoli nutre una particolare passione. «So che si tratta di un club elegante, i cui tifosi ammettono solo chi sa giocare, chi ha uno stile definito, chi si fa notare sempre per il suo bel calcio.» Appunto, elegante, come Enzo. Lo vedi danzare per il campo, in attesa di piazzare il colpo decisivo, con una compostezza che fa innamorare chiunque lo guardi. El Principe, mai come in questo caso, è un soprannome azzeccatissimo. 
Prima di firmare per la squadra argentina, ha il tempo di giocare e vincere la Copa America con l'Uruguay. Apre le marcature nella finale d'andata contro il Brasile e la Celeste conquisterà così il suo dodicesimo titolo, a sedici anni di distanza dall'ultimo. Con Los Millionarios, invece, si scopre grande bomber. Nei suoi primi tre anni mette a segno 68 gol, vincendo il campionato argentino nel 1985/86. Dopo un Mondiale in Messico disastroso, decide di approdare in Europa, per completare il suo bagaglio tecnico, ma in particolare tattico. Arriva al Racing Club di Parigi, dove segna sì con una buona continuità, ma rimane sempre invischiato in campionati non esaltanti. In tre stagioni, la migliore è la seconda, con un settimo posto, mentre nell'ultima si rischierà la retrocessione. Nel frattempo, riuscì anche a rivincere la Copa America nel 1987. Nel 1989, quindi, cambia nuovamente aria e si sposta nel sud della Francia, a Marsiglia per la precisione. Segna 11 volte in 28 occasioni, vince il campionato e raggiunge le semifinali di Coppa Campioni. La squadra della Provenza è senza dubbio tra le migliori in circolazione e Francescoli è tra i migliori calciatori. Poi, la svolta. Tra gli anni '80 e '90, per dimostrare di essere davvero un calciatore bravo, dovevi affrontare un importante banco di prova: quello della Serie A. Enzo lo sa e per questo capisce che è arrivato il momento di trasferirsi in Italia. Non importa dove. Firma quindi con il Cagliari, dove rimarrà per tre anni, diventando un idolo dei tifosi. Nella prima stagione non ingrana subito, ma poi si carica sulle spalle la squadra, conducendola alla salvezza. Arretra anche la sua posizione, infatti le statistiche ne risentono, ma diventa un uomo chiave della squadra. Nel 1992/93, il Cagliari arriva sesto, condotto da un meraviglioso Francescoli, autore di 7 gol e di tante altre giocate e assist. Alla fine, così matto non lo è stato. Poi, per non lasciarsi mancare niente, si accasa al Torino, in quella che è sicuramente la sua peggiore stagione. Pochi gol e una forma fisica lontana parente di quella vista a Cagliari. Nel 1994, dopo solo una stagione, torna in Argentina, al River Plate, il club dei suoi sogni. Ma lo fa quasi da ex giocatore, quasi fosse un pre-pensionamento. A 33 anni, invece, fa vedere a tutti il sangue blu, quello della regalità, dell'eleganza, perché lui è El Principe. Segna 23 reti in 38 partite stagionali: El Principe è tornato. Nel 1995, vince la sua terza Copa America, da protagonista, con il titolo di miglior giocatore del torneo. Nello stesso anno viene votato miglior giocatore d'argentina, a dieci anni dall'ultima volta, e anche miglior giocatore del Sud America, undici anni dopo. Nelle tre stagioni dal 1994 al 1997, vincerà altre tre Apertura e un Clausura. Nel 1996 arriverà la Copa Libertadores, l'ultimo trofeo importante di una carriera che lo ha visto protagonista in Argentina, Francia e Italia. Oltre, ovviamente, che con l'Uruguay. Nel 1997 si ritirerà, lasciando un grande vuoto nel calcio uruguagio, argentino e mondiale. Ma sarà sempre ricordato come El Principe: classe ed eleganza made in Montevideo.

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