sabato 19 aprile 2014

La triste parabola di Testa d'oro

All'alba degli anni '50, un uragano travolse l'Europa calcistica. Erano passati ormai quasi vent'anni da quando, dopo il passaggio del fuorigioco da tre a due, Herbert Chapman rivoluzionò per sempre il mondo del calcio, inventando il Sistema. La difesa era così passata da due a tre uomini, proprio a causa del cambiamento della regola del fuorigioco. 
I primi a vincere con questo nuovo modulo, furono, neanche a dirlo, gli uomini di Chapman, che portò l'Arsenal alla vittoria di due titoli inglesi e una FA Cup. Erano gli inizi degli anni '30 e di lì a poco il Sistema si sarebbe espanso nel resto d'Europa. Alcuni, però, rimasero restii al cambio di modulo e preferirono restare fedeli al Metodo; altri, invece, cercarono di combinare i due schemi. Fu il caso di Hugo Meisl, allenatore del Wunderteam austriaco, che rivoluzionò il calcio danubiano e rese grande non solo l'Austria, ma anche la Cecoslovacchia e, soprattutto, l'Ungheria, che seppero interpretare bene le idee austriache. Proprio queste ultime due nazioni, arrivarono in finale al Mondiale del 1934 e del 1938, entrambi vinti dall'Italia di Vittorio Pozzo, affezionato al suo Metodo. Nello Stivale furono più lenti e il cambio di idee arrivò più tardi, giusto il tempo di entrare nella leggenda. Negli anni '40, infatti, il Grande Torino utilizzò proprio il Sistema per ottenere l'egemonia nazionale. Solo la tragedia di Superga riuscì a sconfiggere l'incredibile squadra granata. La fine di qualcosa, però, segna l'inizio di un'altra. Nel 1949 si siede sulla panchina dell'Ungheria Gusztav Sebes: il calcio non sarà più lo stesso. Il primo accorgimento tattico farà scuola: arretra il centravanti e porta le due mezze ali come prime punte. Era nato il centravanti arretrato. Era nata la Grande Ungheria, quella di Ferenc Puskas, Zoltan Czibor, Jozsef Bozsik, Nandor Hidegkuti, Gyula Grosics e, ovviamente, lui Sandor Kocsis. Testa d'oro.


Sandor Kocsis è nato a Budapest il 21 settembre 1929 e già da bambino si capisce una cosa: da grande farà il calciatore. A sedici anni è già titolare nel Ferencvaros, uno dei club di punta ungheresi, con cui vince il campionato nel 1949. Durante gli allenamenti, andava a ribattere di testa i palloni che i suoi compagni calciavano contro il muro: lui saliva altissimo e poi schiacciava proprio dove voleva. Non era altissimo, solo 1,77 m, ma sapeva saltare benissimo e riusciva a rimanere sospeso il tempo che serviva per impattare il pallone e spedirlo in rete. Ecco perché Testa d'oro, perché un colpitore di testa come lui, non si era mai visto.

Rimane al club biancoverde per cinque anni, prima di passare alla Honved nel 1950. La società rossonera aveva appena cambiato nome da Kispest, un sobborgo poco fuori Budapest, ad, appunto, Honved. Era la squadra dell'esercito e, di conseguenza, doveva avere in rosa il meglio del calcio nazionale. Calcio e politica, come sempre, vanno a braccetto e il governo ungherese usò quel gruppo di grandi campioni per dare una bella immagine del paese all'estero, come a dire: guardate come vanno bene le cose qui da noi. Ecco perché nei libri di storia, oltre che per le loro incredibili doti calcistiche, troviamo Ferenc Puskas come il Colonnello Puskas e Joszef Bozsik come il Deputato Bozsik. Tutti i calciatori della Honved ricoprivano cariche importanti ed erano al sicuro da tutto e tutti. Kocsis, però, non era attratto da queste cose e rimase sempre ai margini delle faccende politiche. L'unica cosa di cui si preoccupava era segnare. E ci riusciva con un'incredibile continuità. Nel 1951, 1952 e 1954 vinse il titolo di capocannoniere del campionato ungherese e con la Nazionale non era da meno. 
Fuori dal campo si divertiva con alcool e donne, sempre nella giusta dose, sempre per rimanere in equilibrio tra il campo e la vita reale. Nel rettangolo verde mieteva record, fuori si divertiva, ma sempre nella giusta maniera, mai sopra le righe. La vita di Kocsis era un perfetto connubio tra dovere e piacere. 
Con l'Ungheria vinse le Olimpiadi del 1952 ad Helsinki, dove segnò in tutte le partite tranne che in finale. In totale furono sei i gol, solo uno in meno di Zebec, che si laureò capocannoniere. A quei tempi la squadra di Sebes non perdeva da due anni, per un totale di quindici partite di fila. Nel giro di dieci mesi, sarebbe arrivata anche la Coppa Internazionale 1948-1953. Il 25 novembre 1953 diventano la prima squadtra ad espugnare Wembley, umiliando i maestri del calcio inglesi 6-3. L'Ungheria, dunque, arrivava al Mondiale del 1954 in Svizzera con tutti i favori del pronostico.



In campo nazionale, la Honved domina e Kocsis segna come se non ci fosse un domani. La ciliegina sulla torta deve essere, per forza, la vittoria del Campionato del Mondo. La Polonia rinuncia al turno di qualificazione e permette all'Ungheria di andare in Svizzera senza neanche il minimo sforzo. L'ultima partita prima dell'avventura mondiale, è la rivincita della vittoriosa trasferta di Wembley. Gli inglesi arrivano a Budapest cercando vendetta, ma i magiari non lasciano scampo a nessuno e si prendono gli applausi del mondo intero: finisce 7-1 e Testa d'oro è ancora protagonista con una doppietta. Arrivati in Svizzera, nel girone, spazzano via la Corea del Sud 9-0 (tripletta di Kocsis) e la Germania Ovest (scesa in campo con le seconde linee) 8-3, con Kocsis che si esalta e ne mette dentro quattro. Dopo solo due partite, quindi, Testa d'oro è già a quota sette gol. Nei quarti di finale va in scena la Battaglia di Berna contro il Brasile. Finisce 4-2 per i magiari, grazie ad una doppietta di Kocsis, che risolve la partita a poco dalla fine, siglando il gol della sicurezza. Per completare l'opera, in semifinale battono i campioni in carica dell'Uruguay, ancora 4-2 e ancora con una doppietta di Kocsis, con due gol fondamentali nei tempi supplementari. Testa d'oro è già arrivato ad undici gol, primo di sempre fra i marcatori del Mondiale. Nessuno è più in forma di lui e della sua Ungheria. Per la finale torna anche Puskas, recuperato dopo l'infortunio contro i tedeschi nel girone. E saranno proprio i tedeschi gli avversari di Kocsis e compagni. La finale, visto il risultato precedente, sembra una pura formalità. L'Ungheria è la squadra più in forma del momento, ha espugnato Wembley, ha umiliato i maestri inglesi e, soprattutto, non perde da trentuno partite consecutive. La squadra di Sebes è passata alla storia come Aranycsapat, la squadra d'oro, e questi sono solo alcuni dei motivi per cui possono vantare un simile soprannome. Il loro è un calcio magico, fatto di nuovi tatticismi e grande tecnica individuale, ma anche un notevole affiatamento, che rese quella squadra inarrivabile per tutti. Erano troppo avanti dal punto di vista tattico, tecnico e fisico. Nessuno sarebbe riuscito a fermare la loro cavalcata trionfale verso il tetto del mondo. I problemi, però, erano in agguato e anche se tutto sembrava andare secondo i piani, il tanto atteso lieto fino non sarebbe arrivato. 

Il 4 luglio 1954 si gioca la finale del Campionato Mondiale di calcio tra Ungheria e Germania Ovest. I magiari volevano vincere quell'alloro che nel 1938 gli era sfuggito a causa della classe di Piola. I tedeschi, invece, volevano far dimenticare la brutta sconfitta del girone. Dopo soli 8', però, la squadra di Sebes ha già messo le cose in chiaro: Puskas e Czibor hanno portato la loro squadra sul 2-0. A questo punto, quasi dal nulla, i tedeschi cominciano a cambiare marcia, a correre il doppio, a non essere stanchi. Al 18' Morlock e Rahn hanno pareggiato. I sessantamila del Wankdorfstadion di Berna si guardano esterrefatti, non capiscono cosa stia succedendo. Come è possibile che la squadra più forte del mondo stia pareggiando contro i tedeschi? Intanto i magiari arrancano e Kocsis esce dal gioco. Non tanto perché siano scarsi loro, ma perché i tedeschi sembrano trasformati, quasi rivitalizzati. L'Ungheria comunque ci prova, ma l'arbitro Ling annulla un gol regolare e non concede un rigore che, quantomeno, si poteva dare. I tedeschi osservano senza fare troppi complimenti e a quel punto nemmeno gli ungheresi ci credono più. Al minuto 84 è ancora Rahn a gonfiare la rete. E' 3-2 per la Germania Ovest. A fine partita è Fritz Walter ad alzare la Coppa Rimet. Per gli ungheresi, non solo si interrompe la striscia di imbattibilità, ma finisce anche un sogno. Un sogno spezzato dai tedeschi, su cui grava una pesantissima accusa di doping, più o meno confermata in seguito. Cosa importa a Kocsis di queste cose? Lui era andato in Svizzera per portare a casa il Mondiale, ma sarebbe tornato a casa da secondo. Non importa come, non importa perché. Era arrivata la prima sconfitta, la prima delusione. La vita non sempre è dolce e con il povero Testa d'oro lo sarebbe stata sempre di meno.
Al rientro in Ungheria, Kocsis continua segnare e vincere. Arriva un altro campionato nel 1955, il terzo con la Honved, il quarto in totale. Macina gol anche in Nazionale: dieci in dodici partite nel 1955, sette in nove presenze nel 1956. Qualcosa dentro di lui, però, è cambiato. Non è più felice, sembra triste. La mazzata definitiva arriva negli ottavi di finale di Coppa Campioni del 1956. La Honved sfida l'Athletic Bilbao, perdendo 3-2 la trasferta spagnola. Il ritorno non si giocherà in Ungheria, perché la situazione non è delle migliori. C'è la rivoluzione e il governo non può certo mostrare la faccia brutta del paese nella massima competizione europea. Il ritorno si gioca a Bruxelles, ma Kocsis e compagni pareggiano 3-3 e vengono eliminati. Da Budapest arriva l'ordine di non rientrare e i rossoneri iniziano un lungo tour in giro per l'Europa, per mostrare tutta la loro classe in partite amichevoli. Il 20 dicembre è l'ora del dietrofront, ma molti giocatori disubbidiscono, non tornando a casa. Tra questi c'è anche Kocsis. Testa d'oro torna nella terra che gli regalò la prima tristezza, la Svizzera. Trova posto negli Young Fellows, che non possono tesserarlo perché la Federazione Ungherese lo ha squalificato per un anno. Comincia così il primo momento di vera crisi di Sandor Kocsis. E' costretto a vendere elettrodomestici per riuscire a vivere ed usa gli ultimi soldi per far arrivare nel paese elvetico la sua famiglia. L'alcool non è più uno svizio, ma diventa un vizio e la distruzione arriva dall'interno. Il più grande colpitore di testa del mondo, uno dei più forti attaccanti del panorama calcistico è sull'orlo del declino. Nel 1957 giocherà per una stagione con la squadra svizzera, mostrando ancora tutta la sua classe, ma giocando con la tristezza che solo chi sta vedendo il proprio paese morire può provare. 
Il sogno di alzare la Coppa del Mondo è ormai un ricordo. Nel 1958 arriva, però, la chiamata del Barcellona, in cui già milita il suo ex compagno al Ferencvaros e all'Honved, Zoltan Czibor, l'incredibile ala della Nazionale magiara. Con loro due in attacco, la squadra catalana vince due titoli nel 1959 e nel 1960. Nel 1960 diventano la prima squadra ad eliminare il Grande Real Madrid dalla Coppa Campioni. Il loro cammino prosegue fino alla finale contro il Benfica. Lo stadio evoca tristi ricordi a Kocsis e Czibor. E' il Wankdorf di Berna, quello dove persero sette anni prima la finale del Campionato del Mondo. Questa volta Testa d'oro segna, con la specialità della casa, il colpo di testa. I portoghesi si riscattano subito e in 2' ribaltano tutto. Al 55' arriva anche il 3-1. Kocsis rivive i fantasmi della partita contro la Germania. Il Barcellona ha un moto d'orgoglio e Czibor accorcia le distanze, ma non c'è più nulla da fare. E' la seconda grande sconfitta nella vita di Sandor Kocsis. Gli anni migliori di carriera sono ormai alle spalle, la Nazionale manca dal 1956 e nel 1965 arriva il ritiro. Ai posteri rimangono i 296 gol in 335 presenze nei club, ma soprattutto le 75 reti in 68 partite con la Nazionale Ungherese, di cui oltre la metà segnate di testa, che lo proiettano al primo posto tra i giocatori con la migliore media gol in Nazionale. 


Quella tanta sognata rivincita Mondiale rimane, appunto, un sogno, un pensiero mai del tutto abbandonato, ma che ad un certo punto è stato messo da parte. La vita sa essere crudele e la caduta dalla cima è presto servita. Dopo il 1954, inizia un vortice che risucchia Kocsis in un tunnel da cui non riuscirà a tirarsene fuori. Nella testa sono ancora presenti le malinconiche immagine della finale mondiale persa, a cui si andranno poi ad aggiungere l'esilio dalla sua terra, l'impossibilità di praticare ciò che più ama e l'altra finale contro il Benfica. Tutte tappe dolorose della vita di Testa d'oro, che dopo gli ultimi gol non esultava nemmeno più. In fondo, che motivo c'era? La depressione aveva ormai preso il sopravvento. La distruzione arrivava dall'interno e i sospetti divennero presto realtà. Angoscianti realtà. Non gli era stata data neanche la possibilità di combattere e per questo decise di non farsi sconfiggere un'ultima volta, anticipando tutti sul tempo, come aveva sempre fatto nelle aree di rigore. Il dolore allo stomaco è ogni giorno più forte e gli esami non lasciano scampo. Testa d'oro ha un ultimo guizzo e decide di spiccare il volo più disperato della sua carriera, della sua vita. La stanza dell'ospedale è abbastanza in alto, solo quello è importante. Il giorno è il 22 luglio 1979, Sandor non aveva neanche 50 anni, ma non è importante l'età, quando la vita ti ha già riservato così tante delusioni. Questa volta non ci sono avversari da superare e anticipare, ma solo il tempo che lo stava corrodendo. Testa d'oro spicca il volo, l'ultimo, quello decisivo. 

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