giovedì 15 agosto 2013

La Germania spezza sogni, parte tre: Wunderteam

Ci sono delle date che difficilmente verranno scordate, perché hanno scritto la storia. La storia del calcio. Ci sono il 1954 e il 1974. Ma c'è anche il 1938, dove, oltre che la storia calcistica, venne anche cambiata la Storia, quella con la S maiuscola. Parlando però solo di calcio, la nazione che unisce questi anni è la Germania. Una Nazionale in grado di spezzare i sogni di chi avrebbe di sicuro meritato un posto nella storia, nel 1954 e nel 1974; una nazione in grado di privare della libertà, nel 1938.


Ultimo capitolo di questo viaggio nel tempo, iniziato nel 1954, passando per il 1974, per poi fare un bel balzo indietro fino al 1938. 
Stavolta però si cambia registro, perché questa volta la Germania (unita per l'occasione) si supera e non fa nemmeno arrivare l'Austria al Mondiale del 1938 in Francia. Non solo si limita a fermare uno degli squadroni dell'epoca, ma decide di cancellare tutta l'Austria dalle cartine. Perché stavolta non è solo una questione calcistica, questa volta non cambia solo la storia dei Campionati Mondiali di calcio e degli albi d'oro, non cambia la storia di una Nazionale. Cambia la storia di una Nazione, cambia la storia del mondo, cambia la Storia, quella con la S maiuscola.
È il 3 aprile del 1938 e si gioca allo stadio Prater di Vienna. Da circa un mese l'Austria è stata annessa alla Germania, diventando una semplice provincia orientale. Anschluss è una parola che si studia a scuola, brutta da dire, brutta da ricordare. Ma soprattutto, brutta da vivere. Perché ti annienta: annienta il tuo stato, la tua Nazione, la tua vita. E, limitandomi a parlare di quello che più mi piace, annienta la tua Nazionale. Non una semplice squadra, ma il Wunderteam, l'epico squadrone che domina insieme all'Italia gli anni '30. Si gioca quel 3 aprile, ma non perché si voleva fare una semplice amichevole. Si gioca per sancire definitivamente il fatto che Germania e Austria sono ormai una cosa sola. Si gioca senza motivazioni, senza voglia, ma con tanta paura e raccomandazioni. I tedeschi non potevano perdere e gli austriaci non dovevano vincere. Qualora qualcuno degli austriaci si fosse azzardato a segnare, avrebbe dovuto fare il saluto nazista in segno di rispetto e perdono. Si gioca, ma è come se non si giocasse. Un'interminabile noia, lunga quasi tutta la partita. Ma nel Wunderteam c'era Matthias Sindelar, probabilmente il giocatore più forte dell'epoca. Si dimentica delle minacce e si ricorda chi è: dal cilindro decide si pescare un pallonetto beffardo, che si insacca dentro la rete. Niente saluto nazista, niente scuse, niente rispetto per chi di rispetto nei confronti della tua Nazione non ne ha avuto. Un gesto d'orgoglio, di rivincita. Ma anche un gesto che di fatto è una condanna a morte. La conferma arriverà solo qualche settimana dopo, quando Sindelar rifiuterà la convocazione in una Nazionale che non sentiva sua. Perché per un ebreo, giocare con una maglia con la svastica sul petto, è qualcosa che va contro tutti i suoi principi. Morirà un anno dopo, nel suo appartamento. Dopo 70 anni non si sa ancora la verità.
Il sogno di Sindelar si spezzò quel giorno. Così come quello di tutta l'Austria, di tutto il Wunderteam, che si presentava ai Mondiali francesi con tutte le carte in regola per far meglio di quel quarto posto del 1934, quando persero la finalina proprio contro la Germania. Questa volta non persero una partita, ma persero l'identità nazionale.
Anschluss è una brutta parola, triste, dolorosa, che deve essere studiata a scuola. In modo che i sogni spezzati finiscano qui. Con o senza Germania come protagonista e carnefice. Con o senza calcio a far da cornice. Perché la guerra è la cosa più stupida che si possa fare. Perché non è giusto che qualcuno debba smettere di sognare solo per le manie di grandezza di altri. Tutti sono liberi di sognare, di inseguire i loro obiettivi. Sia che il tuo sogno sia alzare la Coppa del Mondo o essere, semplicemente, un uomo libero.
L'Austria non tornerà mai più a quei livelli, salvo un terzo posto nel 1954. Proprio nel primo Mondiale della Germania, quello vinto contro la mitica Ungheria. Ero partito da lì e mi ci ricongiungo.
1938, 1954, 1974: tre grandi squadre, all'apparenza imbattibili, sconfitte proprio quando sarebbero potute diventare definitivamente grandi. 

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